Una mostra e un libro ripercorrono l’epopea dei vinili vintage

Fatti in casa. Erano i vinili delle band e degli artisti indipendenti che per decenni, dal 1958 ai primi Novanta, hanno inciso la loro musica nelle cantine e nei sottoscala d’America. Un mondo che non esiste più, mandato in soffitta dalla rivoluzione digitale. Era musica autoprodotta, spesso considerata invendibile dalle major discografiche. Autoprodotti i suoni, ma anche le copertine, veri e propri esempi di artigianato grafico. Immagini e disegni che fotografano un’epoca, tra suggestioni psichedeliche, immagini sbiadite in bianco e nero e disegni folli alternati a cascate di colori. Un’invasione di vinili e cover che nel tempo sono diventati pezzi da collezione. Mille di queste copertine cult sono state raccolte da Johan Kugelberg in un libro, Homemade Records 1958-1992, che è diventato anche una mostra (organizzata da Colette, ha debuttato a Parigi il 3 giugno). Tra le immagini e gli artwork di questa ondata di artisti fai da te non è difficile rintracciare la principale fonte d’ispirazione delle più importanti band di garage rock della scena americana. Un sottobosco musicale di fine Anni 60 che ha conosciuto un lampo di notorietà mainstream tra il 1965 e il 1970. Tra le band fondamentali dell’epoca, i 13th Floor Elevators, ribattezzati i PInk Floyd americani, e i visionari Love di Arthur Lee. 

Testo: Gianni Poglio

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