Gli 80 anni di Bob Dylan, tra musica e poesia
Courtesy by Val Wilmer/Redferns

Gli 80 anni di Bob Dylan, tra musica e poesia

di Andrea Giordano

Bob Dylan compie 80 anni: cantautore, scrittore, poeta, un menestrello del rock che ha ancora molto da dire

Bob Dylan, radicale e rock, il menestrello del Minnesota, l’artefice di una rivoluzione (contro)culturale e musicale, taglia oggi il traguardo degli 80 anni, di cui 60 solo di carriera, passati a raccontare però un’intera nazione e generazione, che in lui, e grazie a lui, continua a trovare ancora ispirazione, forza di ideali, capacità di guardare oltre, e credere nel nostro futuro. La voce giusta, viva, anticonformista, fin dai primi momenti, quando ammirava autori come Woody Guthrie, ma lontana dai bagliori, proprio per questo chiamata a radunarne mille altre intonando le sue canzoni (oltre 600) intrise di protesta, lotta, riguardo la società e i suoi protagonisti, interrogandosi sul cambiamento, la svolta, sull’esistenza stessa, “quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?”, recitava in brani immortali come Blowin’ in the Wind, anno 1962, l’album era The Freewheelin’ Bob Dylan, o in Hurricane (supportando la causa di Rubin “Hurricane” Carter, ex pugile di colore incarcerato ingiustamente) Like a Rolling Stone, I Shall Be Released, The Times They Are a-Changin’It ain’t me babe. Ballate, raccordi emozionali e melodici, moniti politici, siano aperture alla religione, rinchiusi oltremodo in collaborazioni, progetti, ben 77 album, a partire dal recente Rough and Rowdy Ways, o in altre perle rivoluzionarie come Nashville Skyline, Blonde on Blonde, Street Legal, Pat Garrett & Billy the Kid (colonna sonora dell’omonima pellicola dove recita da attore), Infidels (prodotto con Mark Knopfler), Time Out of Mind o Desire.

Una vita intensa da riascoltare, rileggere e studiare, nelle raccolte quanto nelle frasi, in ogni parola e significato, in cui spesso è riuscito a cambiare pelle, dal folk al folk- rock, toccando altri generi, il jazz, il gospel, il country (soft), il blues, il pop rock, rockabilly, scolpendo così la propria immagine nell’Olimpo dei giganti, chitarra in mano e armonica in bocca. Un’esistenza nella quale si è esposto utilizzando la propria arte e linguaggio, rimanendo lineare e coerente, talvolta indicando la strada, ma senza elevarsi a guida o apripista, scendendo semmai nelle strade insieme ai tanti, marciando e suonando per Martin Luther King, schierandosi in difesa dei diritti civili (memorabile il duetto con Joan Baez), rivendicando il suo pacifismo, tra Guerra Fredda e del Vietnam, in anni difficili dove prendere posizione poteva determinare l’uscita o meno dal panorama culturale. Lui invece ha continuato a macinare ricerca e verità, a risultare controverso, a non essere uguale a nessuno, a dettare regole nuove grazie ad un lirismo unico, impegnato a fare differenza, tra la gente, ai vertici, dalla politica al cinema soprattutto. Proprio il grande schermo, che lo ha celebrato pure in un bellissimo ritratto biografico, I’m Not There, in cui a impersonarne le molte vite e sfumature c’erano tra gli altri Cate Blanchett, Christian Bale, Richard Gere e Heath Ledger.

Attestati importanti, come l’ultimo e atteso (non tanto da lui) Premio Nobel per la Letteratura, ricevuto nel 2016, ”per avere creato nuove espressioni poetiche all’interno della tradizione della canzone americana”. L’ennesima tappa da iscrivere alla storia già impreziosita da dieci Grammy Awards, la Legione d’Onore francese, un Premio Pulitzer alla carriera, dalla Medaglia Presidenziale della Libertà, la più alta onorificenza a stelle e strisce, consegnatagli dall’ex Presidente Barack Obama, da addirittura un Golden Globe e un Premio Oscar (nel 2000) per la miglior canzone, ottenuta per la splendida Things Have Changed, per il film Wonder Boys di Curtis Hanson. Musica e poesia dunque, quella del Dylan innovativo, antidivo, catalizzatore e narratore di idee e ideali, che non si finirebbe mai di scoprire.