House of Gucci, omicidio in Italian style: recensione
Foto: Courtesy of Metro Goldwyn Mayer ©2021 Metro Goldwyn Mayer Pictures

House of Gucci, omicidio in Italian style: recensione

di Simona Santoni

Lady Gaga ce la mette tutta, ma il film di Ridley Scott si dibatte tra soap opera e melodramma. Moda, avidità e sangue: un potenziale narrativo di fascino nero buttato al vento

Lady Gaga ce l’ha messa tutta ma, Ridley Scott, che hai combinato? E, soprattutto, gli americani hanno ancora la solita visione stereotipata degli italiani? Caciaroni, evasori fiscali, «pane fresco» e caffè. E questo anche quando fan di cognome Gucci, sinonimo di eleganza d’altri tempi. Ecco alcuni degli interrogativi che zampillano dopo la visione di House of Gucci, uno dei film più attesi dell’anno, paludoso limbo tra soap opera e dramma patinato, dal 16 dicembre al cinema.

Chi avrà la fortuna di vedere House of Gucci in lingua originale, poi, potrà avventurarsi in una bislacca selva di inglesi dall’accento italiano e nella misteriosa scelta di inserire ogni tanto in bocca alle sue star d’Oltreoceano parole italiane, eruttate a caso: sentir Lady Gaga esordire con «páne frèsco» o «che c***o sucede?», in una pronuncia che non tradisce affatto le sue origini italiane, è esilarante. Meglio di uno spettacolo di cabaret.

Omicidio in Italian style, ma con sguardo americano

House of Gucci è un’epopea di moda, brame, sangue, guerre famigliari. Della vera storia che c’è dietro il film firmato Ridley Scott abbiamo già scritto, ed è una folle trama di vita vera che ha del potenziale cinematografico da Grande Gatsby: gioielli, foulard di seta e miserie. Da spumeggiante cavalcata tragica.

Maurizio Gucci, erede della Casa di moda Gucci, è stato assassinato a colpi di pistola la mattina del 27 marzo 1995, sulla soglia della sua azienda in via Palestro 20 a Milano. Mandante, lo si scoprì quasi due anni dopo, l’ex moglie Patrizia Reggiani, con l’aiuto della maga Pina, cartomante partenopea e amica. Ecco servito il primo tris di assi, da film dalle grandi ambizioni (deluse): Lady Gaga nei lussuosi panni di lady Gucci, Adam Driver con occhiali dalle lenti spaziose stile Maurizio Gucci, Salma Hayek messicana che diventa napoletana per un set.

Al Pacino è Aldo Gucci, zio di Maurizio, presidente della Maison toscana dal 1953 al 1986, fino a quando non finì in galera per un annetto per evasione fiscale a New York. Come da stereotipo, certo, ma l’osservazione affidata a Driver è inaccettabile: «Le tasse in Italia non sono un problema, ma in America…».

House of Gucci
Foto: Courtesy of Metro Goldwyn Mayer Pictures Inc.
Da sinistra: Jare Leto, Florence Andrews, Adam Driver, Lady Gaga e Al Pacino in “House of Gucci”

A Patricia Gucci, che a proposito di House of Gucci aveva avuto da ridire per la rappresentazione di suo padre Aldo Gucci, la nostra solidarietà. Su Facebook sosteneva: «Mio padre, che ha trasformato Gucci da un unico negozio a Firenze a fenomeno globale durante i suoi 30 anni da presidente, è ritratto come un delinquente in sovrappeso, quando in realtà era alto, snello e con gli occhi azzurri. Era la personificazione dell’eleganza, applaudito dai reali, dai capi di Stato e dalle leggendarie star di Hollywood». Nei racconti cinematografici è ovvio e giusto che l’esattezza possa esser tradita a beneficio dell’esplosività narrativa, ma quando a traballare è la verità nella sua essenza si rimane storditi. L’Aldo Gucci di Al Pacino sembra un guascone bonaccione e faccendiere. Eleganza? Non pervenuta.

E poi alzi la mano chi riesce a riconoscere Jared Leto senza documentarsi a priori. La sua trasformazione in Paolo Gucci è sbalorditiva. Com’è sbalorditiva la sua interpretazione. O forse dovremmo dire la sua caricatura?

Qui un filmato storico che mette insieme i veri Paolo, Maurizio e Aldo Gucci:

Moda, sangue e avidità: potenziale al vento

Ma al di là di fedeltà agli originali o di spirito italico contrariato, a gridar vendetta è la magnifica occasione buttata al vento da Ridley Scott, regista mastodontico che ha sfornato tanti cult (Alien, Blade runner, Thelma & Louise, Il gladiatore). La vita aveva offerto al copione un prisma nero e affascinante di desiderio, avidità, glamour e i più biechi o banali abissi dell’animo umano. Ma il tutto è stato ridotto a un melodramma di macchiette, dialoghi scolastici, pochi sussulti. Senz’anima, come una borsetta di similpelle.

La sceneggiatura pigra (tratta dal libro The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed di Sara Gay Forden) non conosce le sfumature e, se prima calca la mano sulle mosse da arrivista di Lady Reggiani, poi spinge sul fronte opposto, nel mostrarla vittima del voltafaccia di Maurizio, che nel film cambia dall’oggi al domani, d’emblée, prima succube, quindi gelido.

House of Gucci
Foto: Fabio Lovino © 2021 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc.

Difficile giudicare la prova di Lady Gaga, che si dà da fare, sgrana gli occhi, si strizza in tailleur rigorosi, ma è irretita da un film che ha tenore da telenovela e non si eleva. Per lei una nuova nomination agli Oscar, dopo quella meritata per A star is born? Possibile, visto che l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences parla americano.

Tom Ford rattristito da House of Gucci

In House of Gucci compare anche un giovane Tom Ford, interpretato da Reeve Carney. Direttore creativo del marchio di moda Gucci dal 1994 al 2004, Tom Ford contribuì a risollevare le sorti della Maison che navigava in cattive acque. A lui House of Gucci riserva sequenze al miele. Eppure Tom Ford, che fatti e misfatti made in Gucci li ha vissuti in maniera diretta, è stato critico nei confronti del film e ha detto di essere rimasto «profondamente triste per diversi giorni dopo aver visto House of Gucci».

House of Gucci «rivaleggia con la soap opera Dynasty per sottigliezza, ma lo fa con un budget molto più grande», ha detto. E ancora: «Il film è… be’, non sono ancora del tutto sicuro di cosa sia esattamente, ma in qualche modo mi sono sentito come se avessi vissuto un uragano quando ho lasciato il cinema», ha scritto per Air Mail. «Era una farsa o un avvincente racconto di avidità?».

Lo stilista regista, autore dell’intenso A single man, ha continuato così: «Ho riso spesso ad alta voce, ma avrei dovuto?». Anche noi lo abbiamo fatto, e di certo in momenti in cui Ridley Scott non lo aveva premeditato. E Tom Ford, a differenza nostra, parte da una posizione avvantaggiata: conosceva bene Maurizio Gucci, ha lavorato con lui per quattro degli anni descritti nel film. L’omicidio avvenne a pochi passi dal suo ufficio di Milano.

Infine, un commento alle prove di Al Pacino e Jared Leto, rispettivamente interpreti di Aldo Gucci e suo figlio Paolo: sono  una «versione Saturday Night Live» della famiglia Gucci. Tom Ford ha sottolineato come il ritratto psichedelico di Paolo Gucci fatto da Leto sia ben lontano dal vero: «Paolo, che ho incontrato in diverse occasioni, era davvero eccentrico e faceva alcune cose stravaganti, ma il suo comportamento generale non era certo come il personaggio pazzo e mentalmente instabile della performance di Leto».

Per concludere: «Con le ottime interpretazioni di Gaga e Driver, le potenti performance esagerate dell’intero cast, i costumi impeccabili, i set straordinari e la splendida fotografia, sospetto però che il film sarà un successo. Spruzza il nome Gucci sulle cose e di solito vendono».