Il potere dei Sixties in Last Night in Soho
Courtesy of Parisa Taghizadeh / Focus Features

Il potere dei Sixties in Last Night in Soho

di Andrea Giordano

Surreale e fantasioso: il nuovo lavoro di Edgar Wright fa rivivere (nel presente) un passato glam e misterioso

Il mito degli anni Sessanta, il 1966 nello specifico, diventa fonte (ispirazione) per provare a ritrovare nel contemporaneo sapori di vinili, colori pastello e pop, arredi, canzoni (da Downtown di Petula Clark, a Tony Hatch, o i Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich, il titolo rimanda ad un loro brano), e lì alternarsi in un sali-scendi dark, ma dai contorni visionari. Operazione ambiziosa, soprattutto quando a costruire questo ponte di generi, rimandi, è un regista come Edgar Wright, anticonvenzionale, nel modo di raccontare la propria visione, scardinando stereotipi e gusti. Succede nel suo ultimo lavoro, Last Night in Soho (Ultima notte a Soho), uscirà in Italia a novembre, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

Un tuffo nel presente (e passato) in cui due protagoniste femminili si intrecciano in una doppia dimensione narrativa. Da un lato Eloise (Thomasin McKenzie), aspirante designer di moda a Londra, dall’altra Sandie, interpretata da Anya Taylor-Joy, pluripremiata nella serie La regina degli scacchi, femme fatale e cantante in quella Swinging memorabile. La prima innesca la miccia, andando a vivere nel quartiere di Soho, in quell’appartamento, che anni prima, vide la seconda viverci, e che ora rianima, tra incubi e ossessioni, scoprendone sembianze e il mistero della sua scomparsa della seconda. Due personalità agli estremi, l’una, timida, impacciata, creativa, che vive e fortifica la sua passione nostalgica verso un periodo d’oro, pieno di musiche, tendenze, in fuga dalla campagna della Cornovaglia verso la grande città, per calcare un giorno (dietro le quinte) la passerella. L’altra, riavvolgendo il nastro temporale, invece più intraprendente, affascinante ed oggetto del desiderio del manager, poi fidanzato (l’attore Matt Smith), che la fa debuttare, ma che non si rivelerà quello che sembra. Sogni (di entrambe) che d’un tratto vanno in frantumi, facendo sì che il film prenda da subito una piega da thrillerhorror, psicologico e sofisticato (stile The Neon Demon di Nicolas Winding Refn), capace di cogliere altresì essenze diverse, da Repulsion di Roman Polanski, lì c’era una straordinaria Catherine Deneuve, o A Venezia… un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg. Donne in cerca della propria identità, desiderose di piacere e integrarsi, di essere accettate, e che provano a trovare la propria verità. Ad ogni costo e gesto.

La nostalgia può essere pericolosa, trascorrendo troppo tempo a guardarsi indietro si potrebbe non riuscire a scorgere il pericolo davanti a noi”, ha detto il regista. Eppure respirare aria retrò torna a essere la chiave di lettura (lo si vedrà) per trovare nuova linfa, e chissà, superare i (nostri-loro) rispettivi demoni.