John Lennon, 40 anni senza la sua luce
Foto: Rowland Scherman/Getty Images

John Lennon, 40 anni senza la sua luce

di Andrea Giordano

L’8 dicembre 1980 moriva John Lennon, ucciso per mano di Mark David Chapman. A 40 anni esatti dalla sua scomparsa, l’ex Beatles e straordinario artista di brani come “Imagine” e “Help” non smette di affascinare. Perché forse, oggi, avrebbe davvero potuto ancora fare la differenza.

Mark David Chapman, fanatico, squilibrato, un fan disilluso, amante di J.D. Salinger e Il giovane Holden, spara dei colpi, quattro su cinque vanno a segno: è l’8 dicembre 1980, siamo fuori dal Dakota Bulding di New York. A cadere sotto la follia non è una persona qualunque, ma è John Lennon. In quell’istante ogni cosa pare gelarsi: il mondo ha perso una delle sue voci più autorevoli, e le generazioni, compresa probabilmente quella di chi scrive, e che verranno poi, ne saranno totalmente private della sua presenza e splendore. Lennon, poco dopo, sono le 23.15, verrà dichiarato morto al Roosevelt Hospital, dopo una giornata praticamente perfetta, passata insieme all’amata, compagna, musa, Yoko Ono, a essere immortalati (per la copertina di Rolling Stone) da Annie Leibovitz, a godere del rinnovato successo di Double Fantasy, album uscito due mesi prima.

Con lui, nell’istante fatale, non se ne andò solo un’idea di artista libero, lontano dalle convenzioni, ma qualcuno capace davvero di portare avanti le proprie idee e di metterle in pratica, un personaggio che la cultura, e un certo tipo di società, non hanno probabilmente più ritrovato. John Lennon e la sua musica dunque, il suo modo di lanciare messaggi, di essere privo di schemi e schermi, rimasti intatti nell’essenza, non muoiono certo quella notte, continuano a instillare in chi crede nel cambiamento, nella rivoluzione, qualcosa di unico, catalizzante, immortale. Anche dopo 40 anni di assenza. L’ex Fab Four di Liverpool, che con i Beatles (Paul McCartney, Ringo Star e George Harrison) ha fatto la storia (fino al 1969, anno dello scioglimento del gruppo), è stato in primis il cantautore e cantore per eccellenza, in grado di fare la differenza, nel provare a mixare parole e suggestioni, riflessioni e visioni. Lo fa scrivendo brani come Strawberry Fields, Help, Revolution, Tomorrow never knows, per poi, da solista, immaginare, sperare, un universo di pace e armonia, incidendo altrettante perle: God, Mind Games, o Imagine, diventata più che un simbolo per intere altre esistenze dopo di lui.

Lennon e la sua vita, quasi un film di spionaggio, avvolto dal mistero, ma sconfinante fin dai primi istanti nel romanzo di formazione e avventura, che parte raccontando di un adolescente ribelle, affascinato da Elvis Presley, desideroso però di trovare la propria strada, e lì lasciare traccia. Succede fondando i Quarrymen, di lì a poco ribattezzati Beatles, incontrando quasi per caso, di nuovo lo zampino del destino, Paul McCartney: è il luglio del 1957, in una festa parrocchiale a Woolton. È l’inizio della leggenda, della Beatlesmania, di un percorso memorabile: lo Studio Tre di Abbey Road, Love Me Do, i tour sold out, delle orde di seguaci scatenati, di un modo di dettare le mode, di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, di canzoni quali Lucy in the Sky with Diamonds, fino a Let It Be, al film–concerto–evento sopra il tetto della sede Apple Corps, al numero 3 di Savile Row. La fine del gruppo, le polemiche, le rivendicazioni su chi ha scritto o cosa, lasciano a Lennon il tempo che trovano, e lo portano ad una nuova fase della sua vita.

Fonda la Plastic Ono Band, va via dall’Inghilterra, approda negli Stati Uniti, viene introdotto in certi ambienti culturali, incontra ed è ritratto da Andy Warhol: siamo nell’America multietnica alle prese con la Guerra del Vietnam, del pacifismo, dei movimenti hippie, della rinascita e rivoluzione di ideali. Ideali, idealismo, che Lennon indossa nei panni di guru spirituale, nelle sue rare apparizioni (al Dick Cavett Show, vestito con la giacca militare, inforcando i tipici occhiali tondi), nei servizi fotografici, nella sua battaglia artistica, contro le convenzioni, i pregiudizi, il classismo, la politica, nella sua lotta, pure esistenziale, cercando altresì di disintossicarsi dall’eroina e dal successo. Lennon e il suo punto di rottura, di forza, dovunque e con chiunque si sia minimamente avvicinato al suo orizzonte fatto di sensibilità, genio, creatività, consapevolezza. In un famoso spot di qualche tempo fa, Spike Lee ipotizzava Gandhi davanti a una webcam, e si chiedeva “se avesse potuto comunicare così, oggi che mondo sarebbe?”. Ed io me lo chiedo: chissà, oltremodo, cosa avrebbe potuto dire oggi Lennon…