Perchè tutti odiano i Måneskin?

Perchè tutti odiano i Måneskin?

di Vanni Santoni

Detestare la band romana sembra la moda del momento e mette in luce un rapporto con il succcesso internazionale che è tipicamente italiano

Spezziamo una lancia in favore degli hater. Dare addosso ai Måneskin era facile. Cominciano con X-Factor, il più costruito dei talent; poi vincono Sanremo, altro show dalle dinamiche ben note; infine vincono l’Eurovision, che è un Sanremo su scala europea, sia per qualità della proposta, sia per influenza delle etichette. A questo tris di peccati, si aggiunga che dichiarare «Rock’n’roll will never die» presso eventi di musica pop può effettivamente esporre al ridicolo. Odiare i Måneskin era dunque comprensibile, anzi in certi ambienti doveroso, per quanto facesse sorridere che gli hater fossero gli stessi che fino a qualche giorno prima sbraitavano contro la musica trap e piangevano la chiusura dei negozi di chitarre, dove non entrava più un ragazzino dai tempi di… Chi? Forse proprio di quell’hard, hair e glam rock a cui si rifanno i Måneskin.  Salta però fuori che questi quattro ragazzini sanno suonare davvero. Anche fuori dai playback delle trasmissioni-spot, sanno usare voce e strumenti su un palco. Segue nuova obiezione: derivativi. Non van bene perché non sono altro che la riproposizione dei vari Led Zeppelin, Queen, Bowie, Guns’n’Roses…


Sanremo 2023

Ma come accadeva ai tempi delle rock band storiche, tutto va veloce nel mondo dei Måneskin: lanciatissimi a livello globale, fulminei nel buttar fuori pezzi nuovi e migliori (certo, sono migliorate anche le squadre attorno), si ritrovano ad aprire il concerto degli Stones, a fare un pezzo con Iggy Pop e uno con Tom Morello. Gli hater non si placano: tutto lavoro delle etichette, dicono, ma ormai a mezza bocca, perché sarà pur così, ma gente come quella non lavora con te, se non gli piaci. Di fronte a un’evidenza – “Måneskin are the biggest rock’n’roll act ever spawned from Italy” (cit.) –, poi cementata dall’uscita di pezzi buoni, come Supermodel o la ballata The loneliest, qualche “odiatore” cede, ma i più si compattano, secondo un rapporto col successo internazionale che è prettamente italiano. Di precedenti nel nostro rock non ce ne sono, ma la storia della narrativa recente ci offre un esempio che vale da apologo ed esplicazione.


65th Grammy Awards

 Come sa chiunque si interessi di libri, da quando L’amica geniale di Elena Ferrante è diventato un giga-seller globale, la critica si è schierata contro: “robetta”, “midcult”… Ma un giorno, proprio mentre leggevo una discussione tra cotali critici (tutti d’accordo nel ritenere irricevibile – nonché pop – Ferrante) ho avuto un flashback. Mi sono ricordato delle “Classifiche di Qualità” Dedalus, in cui un gruppo di critici votava i migliori libri del trimestre. Internet non dimentica: ho subito cercato la classifica, risalente al 2011, ed eccola là. Votata da quegli stessi critici, Elena Ferrante, col primo e ancora sconosciuto volume dell’Amica geniale, era al primo posto, e nessuno che avesse da ridire sul suo star sopra Moresco o De Angelis. È dunque carattere nazionale, ed emendare il carattere nazionale è impossibile. Solo un altro tratto del carattere nazionale può farlo: quando allora i Måneskin moriranno, arriverà puntuale la santificazione – e forse ci hanno già pensato, considerando che una delle canzoni del nuovo album si intitola Mark Chapman, come il killer di Lennon.