Il valore dell’arte sociale secondo Palazzo Strozzi. Intervista al direttore Arturo Galansino
Foto: OKNOstudio

Il valore dell’arte sociale secondo Palazzo Strozzi. Intervista al direttore Arturo Galansino

di Luca Zuccala

Fino al 7 febbraio 2021, Palazzo Strozzi ospita l’installazione luminosa di Marinella Senatore. Un’opera pubblica, aperta a tutti e visitabile anche a musei chiusi, che invita alla riflessione. Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, ci parla della missione del museo: rendere decifrabile a tutti l’arte contemporanea.

Dpcm o meno, Palazzo Strozzi c’è. Si accendono gli architravi luminosi dell’installazione di Marinella Senatore nella corte del palazzo e delicatamente deflagra il rosone incastonato all’interno. Ci eleviamo sollevando gli altri, recita l’assioma circolarmente inscritto nell’opera. Un monito, una dedica rivolta a tutti, un’idea di rinnovata consapevolezza comunitaria.

Luci e speranze natalizie che in primavera lasceranno il posto a una delle più importanti collezioni d’arte contemporanea al mondo, quella del Walker Art Center di Minneapolis. 80 opere, 55 artisti, 40 anni di storia dell’arte statunitense, dal 1961 al 2001. Epopea americana che toccherà il suo apice il prossimo autunno specchiandosi con violenza nelle lucide opere di Jeff Koons, per la più grande retrospettiva a lui mai dedicata nel nostro Paese. Un trittico in crescendo firmato dalla Fondazione Palazzo Strozzi, tra le più importanti realtà del contemporaneo (ma non solo) in Italia, e in primis dal suo direttore generale Arturo Galansino.

Accendere una luce, letteralmente, in questi tempi bui. Da ieri si è materializzata nel cortile di Palazzo Strozzi l’installazione di Marinella Senatore (fino al 7 febbraio 2021).
Un progetto possibile in questi tempi impossibili. Dpcm o meno, il nostro intento è stato quello di realizzare qualcosa che si potesse comunque fare, visitabile dal nostro pubblico. L’installazione di Marinella Senatore è infatti situata nel nostro cortile, sempre aperto al pubblico come una vera e propria piazza. L’opera è per tutti, ricorda le luminarie meridionali, le chiese barocche pugliesi, ha un aspetto festoso e colorato. All’interno di questa grande opera luminosa, nel rosone, si legge We Rise by Lifting Others (Ci eleviamo sollevando gli altri) e altri messaggi di empowerment dedicati a tutti in questo momento così difficile.

Dedicate a tutti” e accessibili a tutti, come nella migliore tradizione di Palazzo Strozzi.
È una vera e propria installazione di arte pubblica. Un progetto che abbiamo costruito lavorando tra fisico e digitale, con l’obiettivo di ricucire un tessuto sociale che sta sempre più sfaldandosi, ancor più in questo anno di pandemia che ha lasciato gli ultimi ancora più indietro. Abbiamo sviluppato una serie di programmi di accessibilità e iniziative collaterali come i workshop dell’artista e del suo staff rivolti alle fasce più deboli, dalle persone affette da Alzheimer ai carcerati.

Courtesy of Fondazione Palazzo Strozzi
Arturo Galansino

Il valore sociale e la lettura, la comprensione, trasversale dell’arte contemporanea, del suo valore, dei suoi orizzonti. Quali sono gli ingredienti per costruire una mostra di contemporaneo che possa arrivare a tutti?
La nostra formula si trova nella semplicità e nella qualità. Spiegare attraverso un atteggiamento storico e filologico, raccontare attraverso un approccio didattico. Utilizziamo un analogo modus operandi tanto per le mostre di arte antica, da Verrocchio al Manierismo, che per il contemporaneo di artisti dalla lunga carriera come Ai Weiwei e Marina Abramović. Allo stesso tempo costruiamo progetti altamente sperimentali, come per Carsten Höller o Tomás Saraceno, per parlare del nostro presente.

Senza dare nulla per scontato, dando gli strumenti per “capire” l’arte contemporanea.
Saper raccontare l’arte contemporanea nella maniera più chiara possibile è stato fondamentale per farla uscire dalla nicchia, scardinando un atteggiamento elitista ancora presente, soprattutto nel nostro Paese. Come dimostrano i numeri, dai record di pubblico ai risultati di critica, mantenendo sempre alta la qualità, le nostre mostre sono dedicate sia allo specialista che a chi accede per la prima volta al contemporaneo ed è curioso di capirlo. Uno dei cavalli di battaglia di Palazzo Strozzi da sempre è quello di lavorare con forza sulla didattica, toccando i “problemi” da tanti punti di vista, arrivando così a pubblici diversi.

Attesissimo “problema” in arrivo l’anno prossimo è Jeff Koons, emblema totale dell’arte contemporanea. Palazzo Strozzi gli dedica una grande monografica di carattere storico che copre quarant’anni di carriera (23 settembre 2021-23 gennaio 2022, a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro). Chi è Jeff Koons, cosa rappresenta?
È l’artista contemporaneo per eccellenza, figura iconica di un sistema dell’arte globale. Un artista estremamente coerente nel suo percorso artistico, i cui lavori sono diventati veri e propri status symbol per qualsiasi grande collezionista in qualsiasi parte del mondo. Questo è già uno dei segni del successo di un artista che senza dubbio è un protagonista assoluto della storia dell’arte degli ultimi cinquant’anni.

Lavori che condensano ambiguità come lusso/ludico, banale/splendore, desiderio/ossessione… su cosa si focalizzerà la mostra pur essendo storico-cronologica?
Sarà declinata sul tema della riflettenza. Il riflettere, l’essere, l’apparenza, l’essenza, lo Shine come recita il titolo. Koons lavora da sempre su questo concetto della riflettenza e sull’idea della lucentezza, Shine, che in tedesco (Scheinen) significa apparire. Tutto ruoterà attorno alle sue superfici specchianti, a questi grandi oggetti del desiderio che riflettono l’ambiente circostante, nei quali lo spettatore si riflette.

Oggetti lucidi e lucenti di maniacale perfezione.
Sono dei veri e propri prodigi tecnici frutto di anni di lavoro e di produzioni milionarie, realizzate tra computer e laboratori industriali con le migliori tecnologie esistenti. Sono oggetti meravigliosi che vanno visti da vicino, dal vero, per coglierne il valore. Il primo Baloon Dog ci misero anni a farlo, ricorda la perfezione degli scultori barocchi per questo senso di raffinatezza e tecnica estrema. Certo, oltre alle capacità artistiche, come dicevamo prima, Koons ha cavalcato il cambiamento culturale economico del sistema di un’arte sempre più globale, diventandone l’alfiere.

Ha compreso i meccanismi e ha dominato questo sistema, diventandone un simbolo.
Ha sbattuto in faccia alla borghesia il proprio cattivo gusto, i propri desideri e il proprio passato. Ha sublimato il kitsch fino a trasformarlo in oggetti di gusto raffinato, nei più formidabili oggetti del desiderio. É andato a scavare nel nostro inconscio, per questo le persone sono e saranno in mostra specchiate all’interno di questi oggetti, che sono dei simboli, dei sogni. I visitatori faranno parte di tutto ciò.

Ma prima, in primavera, vanno in scena quarant’anni di storia dell’arte americana, dal 1961 al 2001.
Quattro decenni in cui l’America è stata il baricentro dell’arte, dove nascono i primi artisti globali, quelli della Pop Art, prima ancora di Koons. In American Art 1961-2001 (6 marzo-25 luglio 2021, a cura di Arturo Galansino e Vincenzo de Bellis) partiamo proprio da loro, prima di raccontare gli anni 80/90 di Bruce Nauman, Sherry Levine e Richard Prince e arrivare agli artisti attivisti divenuti recentemente star, come Glenn Ligon o Kerry James Marshall. Avremo grandi installazioni di Matthew Barney e Kara Walker, una sezione dedicata al problema dell’AIDS, e parleremo di temi oggi sempre più all’ordine del giorno, dalle guerre globali ai diritti civili, dal femminismo al razzismo. Una mostra tanto storica quanto attuale.

Il tutto in arrivo da Minneapolis, dove lo scorso maggio è stato assassinato George Floyd.
La mostra è realizzata in collaborazione con il Walker Art Center, uno dei musei d’arte contemporanea più importanti del mondo che il nostro pubblico difficilmente ha potuto visitare. Inoltre Minneapolis è la città dove la scorsa primavera è partita una sorta di rinascita della coscienza americana, in seguito all’assassinio di Floyd e del suo I can’t breathe diventato motto delle proteste in tutti gli Stati Uniti. Oggi, in questo momento così difficile, dopo l’elezione di Biden, parliamo di America con un rinnovato senso di speranza. Ancora una volta una mostra di Palazzo Strozzi si accorda perfettamente al momento storico che stiamo vivendo.