Perché il film su Whitney Houston non è leggenda
Credits: CTMG / Emily Aragones

Perché il film su Whitney Houston non è leggenda

di Simona Santoni

Il biopic su The Voice, icona della musica meravigliosa e commovente, non fa rivivere il mito. Tra il medley impossibile e l’esibizione commovente da Oprah, ecco cosa aspettarsi

Un film ordinario per una cantante straordinaria. Whitney: Una voce diventata leggenda, dal 22 dicembre al cinema, racconta Whitney Houston ma senza farcela rivivere. In modo didascalico e senza luci, come un biopic da Wikipedia.

Naomi Ackie è Whitney Houston
Credits: CTMG / Emily Aragones
Naomi Ackie nel film “Whitney: Una voce diventata leggenda”

Nel ricordo di Whitney, che non rivive

Una grande occasione per il primo film di fiction su The Voice dopo i due documentari Whitney: can I be me e Whitney Houston – Stella senza cielo, un’ancora più grande sfida. Whitney Houston è stata solennità, bellezza e alte vette della musica, oltre la voce, oltre il tempo. A suon di record, ha fatto meglio dei Beatles e di Elvis Presley. È stata l’unica artista nera a conquistare per tre volte il disco di diamante, ha dominato la Billboard Hot 100 statunitense ripetutamente. Ma, soprattutto, ha emozionato: quello che Whitney: Una voce diventata leggenda non riesce a fare, se non in sporadici frangenti.

Anche solo sussurrare il nome di Whitney Houston crea addosso un brivido di ammirazione e un sussulto di commozione. La sua morte prematura nel 2012 a 48 anni, il dolore che trovò sfogo nelle droghe, quasi a sorpresa rispetto alla sua immagine di donna fiera e tutt’altro che maledetta, bruciano ancora dentro.

Naomi Ackie è Whitney Houston
Credits: CTMG / Emily Aragones
Naomi Ackie nel film “Whitney: Una voce diventata leggenda”

È Naomi Ackie, attrice britannica distintasi in Lady Macbeth di William Oldroyd, a prendersi il carico di interpretare Whitney Houston, diretta dalla statunitense Kasi Lemmons, già autrice de La baia di Eva. E Naomi sembra devota alla parte, in guizzi di entusiasmo e stupore, ammiccamenti, esibizioni appassionate. Ma lo spirito regale, energico, fragile e felino di Whitney è ben lontano.
La sceneggiatura è di Anthony McCarten, che in Bohemian Rhapsody aveva fatto meglio: meno biografia pedante, più vibrazioni. Quest’anno un altro mito della musica è stato scomodato: Elvis Presley con l’Elvis di Baz Luhrmann. Ecco, lì Elvis rivive. In Whitney: Una voce diventata leggenda c’è un ricordo affettuoso di Whitney Houston ma lei non c’è. In Naomi Ackie vediamo quasi sempre Naomi Ackie.

Il medley e certi momenti in cui Whitney c’è

Ci sono però alcuni momenti in cui sbuca la speranza: ecco, ecco Whitney, c’è. Come quando ventitreenne canta I wanna dance with somebody, con la sua capigliatura voluminosa, il fisico affusolato, le mossette dance, la mano che si chiude e si apre sul microfono, un’energia intrigante.
Poi eccola di nuovo comparire in un barlume radioso nel live al Madison Square Garden.

È commovente l’esibizione da Oprah Winfrey nel 2009, quando ormai i suoi problemi con la droga sono noti e ha perso la sua magnifica estensione vocale. Canta I didn’t know my own strength: “Non conoscevo la mia forza / mi sono abbattuta e sono caduta / ma non sono crollata”, inframmezzando “Mamma ha detto non sei fatta per cadere”, “Clive ha detto non sei fatta per cadere”, “Il vostro amore ha detto non sei fatta per cadere”. È struggente conoscere il suo finale. Com’è struggente vedere accanto a Whitney la figlia Bobbi Kristina (interpretata da Bria Danielle Singleton), nata dall’unione con Bobby Brown (Ashton Sanders): a soli 22 anni anche per lei la stessa fine della mamma, trovata esanime nella vasca da bagno.

Stanley Tucci e Naomi Ackie
Credits: CTMG / Emily Aragones
Stanley Tucci e Naomi Ackie nel film “Whitney: Una voce diventata leggenda”

Tra le figure attorno a Whitney, si staglia il suo produttore Clive Davis, grazie alla misurata e sensibile performance di Stanley Tucci. Gigante del mondo discografico, dietro al successo di nomi come Janis Joplin, Bruce Springsteen e Pink Floyd, tuttora vivente, ha contribuito alla realizzazione del film.

Non manca, sul finale, uno dei momenti iconici della carriera di Whitney Houston, quel medley impossibile che ci dà la misura smisurata della sua straordinarietà vocale. Agli American Music Awards del 1994 inanella una dietro l’altra senza fermarsi I loves you, Porgy, And I am telling you I’m not going e I have nothing, tre canzoni una più impegnativa dell’altra, di grandi modulazioni. Un’impresa che solo Whitney Houston poteva centrare.

Ma canta Naomi Ackie o canta Whitney Houston?

È Whitney Houston che canta nel film. I realizzatori hanno ottenuto le registrazioni originali di 22 classici della principessa del pop e le hanno remixate per il sonoro all’avanguardia delle sale cinematografiche.

Naomi Ackie ha cantato davvero sul set, ma senza che venisse registrato alcun suono, perché il finto canto sembrasse vero, nell’energia del viso, nell’espansione del torace, nelle corde vocali che si allungano, nei respiri. «So tenere una melodia, ma non sono una cantante», ha detto l’attrice trentenne. «Essere una cantante richiede un certo livello di personalità nella propria voce che io non ho. Quindi, in quei momenti in cui cantavo le sue canzoni, ho chiesto di alzare il volume della musica più forte possibile – stava risuonando dalle pareti – e ho potuto esibirmi».

Naomi Ackie è Whitney Houston
Credits: CTMG / Emily Aragones
Naomi Ackie nel film “Whitney: Una voce diventata leggenda”

Ci sono però nel film performance per le quali non esiste alcuna registrazione del canto di Whitney. Ecco quindi che è Ackie a cantare Guide me, O my great Jehovah, di sottofondo al canto di mamma Cissy Houston (interpretata da Tamara Tunie), come nelle esercitazioni vocali in chiesa. E c’è un’altra esibizione di Ackie nel film: quando Clive Davis arriva al Club Sweetwater di New York per ascoltare Whitney, Whitney viene improvvisamente spinta sul palco, senza preavviso, e dovrebbe esibirsi in Greatest love of all. Il personaggio di Whitney è nervoso e all’inizio il suo canto è rozzo e ruvido. Ma la registrazione di Whitney di Greatest love of all è tutt’altro che grezza e rozza. Ecco così che all’inizio è Ackie a cantare nervosamente, poi a metà della canzone, ritrova la sua sicurezza e diventa Whitney. Da quel momento in poi, per il resto del film, il canto è tutto di Whitney.