Non c’è due senza tre: Tom Ford torna al cinema con un film ambientato in Italia
Courtesy Getty Images

Non c’è due senza tre: Tom Ford torna al cinema con un film ambientato in Italia

di Digital Team

Tom Ford torna dietro la macchina da presa con Cry to Heaven, il suo terzo film: un dramma barocco ambientato nell’Italia del Settecento, tra castrati, potere e identità. Un cast monumentale, il debutto di Adele e un’estetica che promette di essere la più radicale della sua carriera

L’ultima volta che Tom Ford ha gridato “azione”, il 2016 era ancora un anno in cui il glamour di Los Angeles poteva permettersi di essere crudele ma impeccabile. Nocturnal Animals era una lama lucida, un thriller meta-letterario che trasformava la galleria bianca di una collezionista in un altare del rimorso. Prima ancora, nel 2009, A Single Man restituiva al cinema queer una dignità estetica che non chiedeva scusa a nessuno: un giorno di lutto scolpito come un interno mid-century.

Ora, dopo l’addio alla moda e la vendita del suo impero a Estée Lauder, Ford torna a fare ciò che da sempre sembra desiderare più di tutto: raccontare storie attraverso superfici che diventano psicologie. Il nuovo film, Cry to Heaven, è il suo progetto più ambizioso, più oscuro e più apertamente corporeo. E soprattutto: sarà girato in Italia (le riprese inizieranno nel 2026).

Nel cast tornano Nicholas Hoult e Aaron Taylor-Johnson, due dei volti fordiani per eccellenza: fragili, sensuali, sospesi tra durezza e vulnerabilità. Torna Colin Firth, l’uomo che con A Single Man ha regalato a Ford un Golden Globe e una pagina di storia queer. Accanto a loro, un ensemble che unisce generazioni e sensibilità: Hunter Schafer, Lux Pascal, George MacKay, Daryl McCormack, Cassian Bilton, Mark Strong, Ciarán Hinds, Paul Bettany, Thandiwe Newton. E poi lei: Adele, al suo debutto cinematografico.

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(Photo by Kevin Mazur/Getty Images for AD)

L’Italia del Settecento secondo Ford

Dopo le linee pulite della Los Angeles anni Sessanta e il Texas polveroso trasformato in paesaggio mentale, Ford cambia completamente registro. Arrivano Venezia, Napoli, Roma: l’Italia del Settecento, quella dei castrati, dei teatri d’opera, dei palazzi che sembrano già scenografie. È un immaginario che Ford ha sfiorato per anni – barocco, teatrale, sensuale – ma che non aveva mai avuto l’occasione di mettere davvero in scena.

Il romanzo di Anne Rice da cui il film è tratto, pubblicato nel 1982, uno dei pochi testi della scrittrice completamente privo di soprannaturale, è una storia di voce e violenza. Racconta di Tonio Treschi, giovane nobile veneziano costretto alla castrazione per un intrigo familiare, e di Guido Maffeo, contadino calabrese diventato divo dell’opera e poi maestro di canto. È un mondo dove il corpo viene modificato per produrre bellezza, dove il talento è inseparabile dalla ferita, dove il desiderio si muove su linee ambigue di potere e identità.

Tom Ford
Courtesy Getty Images

Cosa ci aspettiamo dai costumi

Molto. E non solo perché “Tom Ford gira un period movie in Italia del Settecento” suona già come candidatura automatica agli Oscar, come scherzano i cinefili online. Nei suoi due film precedenti, Ford ha fatto una scelta precisa: delegare. E sa bene a chi delegare. Per A Single Man e Nocturnal Animals ha chiamato Arianne Phillips (una delle costumiste più rispettate di Hollywood) lasciandole piena libertà creativa, al punto che nei film non compaiono praticamente capi Tom Ford, nonostante personaggi ricchissimi che potrebbero permetterseli.

Per Cry to Heaven non è ancora stato annunciato ufficialmente chi firmerà i costumi, ma le aspettative sono altissime. L’opera italiana del XVIII secolo significa casacche di scena opulente, busti, sete cangianti e ricami ecclesiastici, ma anche l’abbigliamento quotidiano di nobili, maestri di conservatorio, cortigiani e prelati. In mezzo, i castrati – corpi “alterati” che devono essere al tempo stesso oggetto del desiderio e simbolo di sacrificio – offrono una miniera di soluzioni visive: silhouettes ambigue, gioielli, parrucche e trucco che enfatizzano la loro natura quasi androgina, come già aveva fatto il cinema in Farinelli negli anni Novanta.

Tom Ford
(Photo by Roy Rochlin/FilmMagic)

Se i primi due film usavano il costume per parlare di lutto e vendetta, qui il rischio – e la promessa – è che i vestiti diventino un discorso esplicito su genere, potere e spettacolo. Non “bei abiti d’epoca”, ma un sistema di segni che racconta come la società dell’epoca costruiva i propri idoli… tagliando via pezzi di corpo.

Tom Ford post-moda

Leggere Cry to Heaven nel percorso di Ford non è difficile: se A Single Man era un’elegia sulla perdita e Nocturnal Animals un trattato sulla vendetta maschile, il nuovo film è una riflessione radicale su come il potere modella – letteralmente – il corpo. È una storia che parla di genere, di desiderio, di classe, di talento, di sistemi che creano idoli solo dopo averli sacrificati.

Ford ha lasciato la moda definendo quel mondo “un gioco da uomini più giovani”. Ma il cinema che sta costruendo è tutt’altro che un ritiro: è un’ossessione che torna completa, un progetto che combina la sua cultura visiva con un tema che raramente Hollywood ha avuto il coraggio di affrontare senza moralismo o pruderie. Il mito dei castrati, qui, è anche il mito delle star: corpi trasformati per intrattenere, identità costruite per essere desiderate, voci plasmate per essere indimenticabili.

E l’Italia, con la sua memoria barocca, è la sua scenografia ideale: un luogo dove la bellezza è sempre stata eccesso, dove l’arte è sempre stata potere, dove la storia non è mai stata innocente.

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(Photo by Jeff Spicer/Getty Images for BFC)