Botti di legno, nuova frontiera dei whisky
(Credits: WildLivingArts/iStock) – 11 gennaio 2018

Botti di legno, nuova frontiera dei whisky

di Aldo Fresia

Nel mondo si stanno sperimentando scarti rispetto alla tradizione del rovere, cercando nuovi legni dove fare invecchiare i distillati

L’invecchiamento in botte è uno dei passaggi fondamentali, per un whisky o un whiskey, nome quest’ultimo utilizzato per quelli irlandesi e statunitensi. Il legno determina ad esempio il colore del distillato e la presenza più o meno pronunciata di note caramellate e tostate, oltre ad ampliare la sua complessità organolettica. Proprio l’importanza delle botti sta stimolando una serie di esperimenti, nel tentativo di trovare alternative ai legni più diffusi e dunque nuovi modi di influenzare il sapore finale di un prodotto.

LE BOTTI DI ROVERE: LA TRADIZIONE
Gran parte dei whisky e whiskey sul mercato affina in botti di rovere statunitense, nella stragrande maggioranza dei casi in quelle che hanno precedentemente contenuto bourbon: il disciplinare statunitense obbliga infatti i produttori a utilizzare esclusivamente botti nuove, che di conseguenza sono rivendute ad altre distillerie dopo il primo utilizzo, e a prezzi relativamente contenuti. Esiste anche un ampio mercato dedicato al rovere europeo, che è più pregiato e che viene ad esempio utilizzato dalla scozzese GlenDronach, le cui bottiglie sono facilmente recuperabili in Italia.

GLI SCARTI RISPETTO ALLA TRADIZIONE
Nel corso dei decenni distillatori di tutto il mondo hanno lavorato sulla tradizione nel tentativo di ottenere aromi e gusti più curiosi. La strada seguita è stata di utilizzare botti che in precedenza avevano ospitato sherry, porto, vermouth e persino birra: tutti esperimenti riusciti e ormai largamente diffusi nel mercato. Un consiglio d’assaggio: il Belvenie 15 Y. O. Single Barrel Sherry Cask, autentica prelibatezza e facile da reperire.

Altra tendenza è stata quella di invecchiare il bourbon in botti di rovere francese o mongolo: la legge degli Stati Uniti dice infatti che il bourbon deve affinare in botti di rovere di primo passaggio, ma non specifica dove deve crescere l’albero da cui ricavare il legno, aprendo così la strada a interessanti variazioni sul tema: per esempio il valido Mongolian Oak della distilleria Buffalo Trace, che però non si trova facilmente in Italia.

L’INNOVAZIONE: SEI LEGNI DIVERSI
C’è chi però ha scartato in modo ancora più netto dalla tradizione. È il caso ad esempio di Melkon Khosrovian: master distiller, fondatore della californiana Greenbar Distillery e rispettato innovatore. Dopo aver analizzato come una trentina di legni differenti influenzava il distillato finale, ha ristretto il campo a quelli che avevano dato i risultati migliori e ha messo in produzione un whiskey ottenuto da un blend di invecchiati in sei diverse botti: quercia bianca, quercia rossa, gelso, acero, vite e hickory (albero nordamericano che appartiene alla famiglia dei noci). Si chiama Slow Hand Six Wood ed è un’autentica chicca, purtroppo ardua da trovare qui da noi.

L’INNOVAZIONE: ALTRI ESPERIMENTI
Qui si va nella nicchia più ristretta e per assaggiarne i risultati bisogna recarsi sul posto, ma i curiosi sappiamo che presso la Copper Fox della Virginia (USA) hanno inserito nelle tradizionali botti di rovere dei pezzettini di melo. Una filosofia simile a quella delle bustine del tè messe in acqua calda, solo a freddo e con i distillati.

Curioso, e meno ostico da recuperare, l’esperimento della scozzese Scotch Malt Whisky Society, che ha messo sul mercato il The Dunnage Bakehouse. Si tratta di un single cask invecchiato tredici anni e che per un periodo non meglio precisato ha riposato in botti che in precedenza avevano contenuto del gin: una doppia rarità, considerato che normalmente il gin non fa passaggi in botte.