Orgoglio italiano, radici campane: dal pomodoro del Piennolo a una cucina a 360 gradi

Arrivato al quarto anno dell’istituto tecnico industriale, Giuseppe D’Aquino non sa ancora che diventerà lo chef stellato del ristorante Oseleta, che si trova all’interno della settecentesca Villa Cordevigo, a Cavaion Veronese. Sa però che gli studi superiori non lo stanno portando nella giusta direzione: ‘Avevo capito che non sarebbe stata la mia strada e nonostante il diploma dissi a mio padre che volevo fare lo chef. E lui, da buon napoletano, disse: secondo me una cosa la puoi fare sicura, ‘o scemo’, ricorda ridendo.

La madre invece ha già una mezza idea del possibile futuro di suo figlio: ‘Da ragazzo, quando tornavo la notte dopo una serata con gli amici non mi limitavo al semplice panino o alla semplice brioche: cominciavo a cucinare di tutto e di più, dalla salsa al risotto. Ricordo che mia mamma si svegliava al mattino e trovava la cucina in uno stato impossibile’. Piatti e tegami sporchi causavano qualche malumore (‘Poverina, aveva ragione’), ma erano anche la spia di una passione nascente.

Un altro ricordo di casa e della giovinezza ha accompagnato chef D’Aquino nella sua crescita professionale, coronata quest’anno dall’arrivo della stella Michelin: ‘Io amo il pomodoro del Piennolo, quello che cresce alle falde del Vesuvio. In casa mia non mancava mai: lo tenevamo appeso sul balcone e si mangiava sul pane, anche sul pane duro bagnato in acqua, ed era fantastico. È un prodotto che mi sono portato dietro e che nella mia cucina, che è molto mediterranea, non manca mai’.

Oggi il pomodoro del Piennolo è un ingrediente fondamentale di una delle ricette proposte dal ristorante Oseleta: ‘Noi siamo sulle colline del lago di Garda e ci sono molti clienti tedeschi, olandesi, inglesi. Ho pensato: se io vado in Grecia voglio assaggiare la moussaka, e se vado in Spagna sicuramente la paella. Lo straniero che viene in Italia cosa vuole mangiare? Pasta al pomodoro e pizza. Noi non facciamo la pizza, facciamo lo spaghetto al pomodoro: però lo facciamo come dio comanda, quindi usiamo la pasta di Gragnano e il pomodoro del Piennolo’.

Si tratta anche di sostenere con orgoglio la tradizione culinaria italiana: ‘In generale, anche al di fuori della ristorazione, noi italiani siamo bravissimi a creare e fare tutto, molto meno bravi a proporre la nostra immagine e i nostri prodotti all’estero. Abbiamo un grandissimo patrimonio e in cucina credo che pochi paesi possano proporre ciò che proponiamo noi. Dovremmo volerci più bene, essere consapevoli delle nostre capacità. O forse lo siamo fin troppo e pecchiamo di presunzione pensando di poter esportare quello che abbiamo senza valorizzarlo’.

A proposito di tradizione, chef D’Aquino ha le idee molto chiare sul concetto di territorialità: ‘Quando ero all’estero mi sono sempre sentito italiano, per cui tutto quello che era italiano era il mio territorio. Ho delle radici campane, quindi mi porto dietro dei prodotti dall’infanzia, però oggi c’è la possibilità di avere tutto in qualunque momento e in pochissimo tempo: dal gambero di Mazara del Vallo alla mozzarella di bufala alla Fassona piemontese. Perché devo limitarmi ai prodotti di un territorio ristretto al posto di sviluppare a 360 gradi la mia idea di cucina?’.

L’orgoglio per la tradizione italiana nella sua interezza aggiunge un tocco di malinconia ai pensieri di Giuseppe D’Aquino sul futuro: ‘Sono praticamente certo di ritrovare tutti i giorni la stessa motivazione che avevo quando ho cominciato, perché amo tantissimo questo lavoro. Spero dunque che non mi manchi mai la salute, che è fondamentale, e soprattutto la possibilità di rimanere nel mio paese, in un’Italia che veramente ci permetta di fare questo mestiere nel miglior modo possibile: andando avanti ci si rende conto che diventa veramente difficile, dal punto di vista della gestionale economica di un ristorante’.