La birra di segale, la novità dell’estate
(Credits: 123object/iStock) – 12 giugno 2018

La birra di segale, la novità dell’estate

di Aldo Fresia

Fresca e tendenzialmente poco alcolica, è una birra che segue una ricetta vecchia di secoli, scomparsa e poi riscoperta: ecco alcuni consigli d’assaggio

Dimenticata per alcuni secoli, tornata di moda da qualche anno e perfetta per l’estate grazie alla sua freschezza e bassa gradazione alcolica: è la birra di segale, che vale la pena di (ri)scoprire puntando su alcune bottiglie di tutto rispetto. Prima dei consigli, però, un po’ di storia.

SI PARTE DAL MEDIOEVO
Di solito, oggi, uno degli ingredienti base della birra è il malto d’orzo. Durante il medioevo, però, ci furono zone dell’Europa in cui veniva utilizzato abbondantemente il malto di segale: si tratta dei territori che, chilometro più chilometro meno, corrispondono all’attuale Baviera, in Germania meridionale, patria dello stile birraio roggenbier (roggen in tedesco significa segale). Le cose cambiarono all’inizio del XVI secolo.

L’ABBANDONO DELLA SEGALE
Il 23 aprile 1516, Guglielmo IV di Baviera promulgò il Reinheitsgebot, una norma per regolare la produzione e la vendita di birra. Siccome negli anni precedenti l’agricoltura aveva prodotto cattivi raccolti, Guglielmo IV decise di riservare la segale alla panificazione, vietandone l’uso per le birre e autorizzando esclusivamente l’impiego del malto d’orzo. Così, il roggenbier scomparve piuttosto rapidamente.

IL RITORNO DELLA SEGALE
Secoli più tardi, e per la precisione a partire dal 1988, le birre di segale ricominciarono a essere prodotte in Baviera. La successiva adozione da parte del movimento artigianale statunitense ne ha poi alimentato la moda, con uno scambio che ha favorito entrambe le sponde dell’Atlantico e che ha creato due macro famiglie: le roggenbier e le american rye, che in generale si differenziano perché le seconde vantano una maggiore presenza di luppolo, dunque un gusto mediamente più amaro. In entrambi i casi, il sapore secco e fresco ben si adatta alle stagioni calde, così come una gradazione alcolica che in linea di massima si aggira attorno ai 5 gradi.

I CONSIGLI D’ASSAGGIO
Una prima bottiglia da stappare non può che essere tedesca: si tratta della Bio Roggen-Weizen del birrificio Störtebeker, che si trova in Germania settentrionale, affacciato sul Mar Baltico. Restando in Europa e trasferendosi in Inghilterra, si va a colpo sicuro con la Red Rye di Hook Norton, premiata dai World Beer Awards come migliore della sua categoria nel 2015 e 2017. In Italia spiccano fra gli altri due nomi: Rye’ccomi, nata da una collaborazione fra il birrificio toscano Amiata e il mastro birraio statunitense Mike Murphy, e la RyeVolution Combat Saison del birrificio Toccalmatto. Infine, negli Stati Uniti si parla molto bene della Rye-on-Rye, prodotta in Missouri da Boulevard Brewing Co. (attenzione, però: in questo caso i gradi alcolici sono alti, attorno al 12%).