Nel suo borgo medievale, e dintorni, il neo stellato Michelin trova tutto quel che serve: profumate erbe selvatiche che raccoglie personalmente, ingredienti freschi (e unici) dell’entroterra ligure e la semplicità di una solida tradizione gastronomica tutta da reinterpretare

A sentirlo parlare, Massimiliano Torterolo è un tipo alla mano, capace di tenere insieme umiltà e consapevolezza dei risultati raggiunti, non ultimo la stella Michelin. Per assaggiare di cosa è capace quando si mette dietro i fornelli, bisogna voltare le spalle al Mar Ligure e risalire l’entroterra in direzione della val Bormida fino a raggiungere Millesimo (SV), borgo di origini medioevali abitato da poco meno di 3500 anime e adagiato sulle sponde del fiume Bormida. In una delle stradine del centro storico si trova la Locanda dell’Angelo, regno di chef Torterolo.

Lavorare in un luogo come Millesimo ha un lato positivo: ‘Qui c’è una ricchezza di prodotti incredibile e posso acquistare tantissimi ingredienti a chilometro zero. E poi, siccome sono un appassionato di erbe spontanee, quando ho tempo faccio come si faceva tanti anni fa: vado nei prati a raccogliere erbe aromatiche, soprattutto adesso che è cominciata la bella stagione’.

L’altro aspetto positivo di Millesimo sono i compaesani, che Massimiliano apprezza anche se per certi versi gli hanno reso la vita difficile: ‘Questo è un paesino di poche anime saldamente legate a una tradizione di piatti semplicissimi: ravioli, ragù, poco altro. Faticherei parecchio se non avessi l’appoggio di una clientela che arriva da Genova, Torino, Mondovì e zone limitrofe’. I compaesani non saranno clienti assidui, e talvolta ‘nemmeno conoscono la Guida Michelin’, però non hanno ancora smesso di congratularsi per la stella. Chef Torterolo racconta divertito: ‘Ancora oggi mi capita di essere al bar a bere un caffè e di ricevere un complimento, spesso seguito dalla domanda: ma quale premio ti hanno dato esattamente?’.

Come per molti colleghi, poi, l’arrivo della stella ripaga almeno in parte i sacrifici, perché cucinare è come amare, o ci si abbandona completamente o si rinuncia. La frase, che campeggia sul sito ufficiale della Locanda dell’Angelo, ‘è della mia titolare [Maria Rosa Lauro], ma rispecchia davvero ciò che accomuna tutti gli chef, se credono nel loro lavoro. Nel senso che cucinare è certamente una passione, ma è pure un sacrificio, ti chiede tantissimo, anche perché la cultura culinaria è nettamente migliorata e oggi la clientela è molto più selettiva di un tempo, senza contare che sono numerosi i colleghi che si stanno distinguendo’.

L’aspetto che ti pesa di più? ‘Devi sottostare a orari imprevedibili ed è difficile organizzare una routine al di fuori del ristorante, cosa che vorrei perché ho una compagna e un figlio piccolo. Invece ci sono giornate nelle quali fai trenta coperti e alle dieci e mezza di sera finisci, e poi ci sono volte in cui due persone arrivano tardi e non esci dalla cucina prima di mezzanotte. Sono sincero: un poco mi pesa, avendo un figlio, e a maggior ragione se ho già alle spalle dieci ore di lavoro’.

Dunque in casa non si approfitta del tuo talento ai fornelli? ‘Qualche anno fa sì’, dice ridendo, ‘adesso meno. Normalmente cucina la mia compagna. Io non critico, mi va benissimo anche una patata bollita o una pasta burro e salvia, basta che non debba cucinarla io. Poi, certo, qualche cena con gli amici ci scappa ancora: per una buona bottiglia di vino mi sacrifico anche nel giorno di riposo’.