Rice beer, la birra di riso
(Credits: Instants/iStock) – 21 agosto 2018

Rice beer, la birra di riso

di Aldo Fresia

Come cambia il sapore se utilizziamo il riso e quali bottiglie vale la pena di assaggiare?

Tradizione vuole che l’ingrediente fondamentale sia l’orzo, ma è facile imbattersi in birre che lo miscelano insieme ad altri tipi di cereale: per esempio il frumento, più raramente farro, segale e avena. Anche il riso è un’aggiunta frequente all’impasto del mosto in fermentazione: per quanto goda di cattiva noema (non sempre a torto), merita in realtà di essere rivalutato, soprattutto se parliamo di birre artigianali.

I DUBBI SUL RISO
I puristi sono spesso critici nei confronti dei marchi industriali che utilizzano il riso, o anche il mais, fra gli ingredienti, perché sostengono che queste ricette non nascano da un’attenta ricerca sulle materie prime, quanto piuttosto dalla volontà di abbattere i costi di produzione: riso e mais sono più economici dell’orzo. A onor del vero, nessun produttore ha mai esplicitamente dichiarato che il ricorso al riso dipende esclusivamente da calcoli economici e la sua presenza non è tenuta nascosta, anzi è spesso dichiarata sull’etichetta.

I VANTAGGI DEL RISO
La presenza del riso non è necessariamente sinonimo di scarsa qualità: se gestita con attenzione lima le note robuste che derivano da orzo e luppolo e contribuisce a una birra di bella leggerezza e versatilità. È chiaro che esiste un confine, nemmeno troppo sottile, che separa queste caratteristiche positive dalla banalità e dalla mancanza di personalità, e va da sé che rivolgersi ai birrifici artigianali offre una garanzia maggiore rispetto a quelli industriali. Fatta questa distinzione, ogni produttore varia la percentuale degli ingredienti di base, dunque anche del riso, rendendo molto ampio il panorama delle cosiddette rice beer o birre di riso.

CONSIGLI DI ASSAGGIO
In linea di massima, il riso compare spesso nelle tradizioni giapponese e statunitense, anche se non è estraneo a quella europea (per esempio, è attestato in Germania già alla fine del XIX secolo). Una delle bottiglie più riverite del momento è proprio europea e per la precisione belga: si tratta della premiatissima Betty B. del birrificio Bossuwé, che unisce un corpo piacevolmente amarognolo a una leggerezza asciutta e delicata, caratteristiche ideali per un abbinamento alla verdura, al pesce e alle carni bianche. Chi vuole osare sappia che Bossuwé ha in catalogo anche la Pattaya Paradigm: leggera (solo 4,3 gradi) e insaporita con l’aggiunta di citronella e cardamomo. Cambiando continente, consigliatissima la giapponese Touch Down Kiyosato Lager del micro birrificio Yatsugatake, una birra che dà il meglio di sé con i sapori agrodolci della cucina nipponica.