I vini italiani strappati alla natura
(Credits: MaxBaumann/iStock) – 13 marzo 2018

I vini italiani strappati alla natura

di Aldo Fresia

Ci sono aree d’Italia dove la coltivazione e la raccolta dell’uva è particolarmente difficile: ecco tre storie di viticoltura estrema

Prima ancora di assaggiare un vino, la storia che lo precede può ingolosire gli esperti e i neofiti. Da questo punto di vista, pochi prodotti si portano dietro vicende appassionanti come quelli che giungono da zone impervie, quelle che impongono un’agricoltura non meccanizzabile e che di conseguenza richiedono uno sforzo particolare, fatto completamente a mano e con un enorme dispendio di ore lavoro. Sono luoghi nei quali contadini ed enologi diventano gli alfieri di una coltivazione estrema, quasi eroica, che si svolge su fazzoletti di terra strappati alla montagna e al mare. Abbiamo raccolto tre storie (e quattro vini) che meritano attenzione.

FURORE BIANCO FIORDUVA – CASA VINICOLA DI MARISA CUOMO
Il comune di Furore, un agglomerato di case sparse lungo la Costiera Amalfitana, è caratterizzato da alture scoscese e impervie. Qui, grazie a un lavoro tenace e certosino, la casa vinicola di Marisa Cuomo ha strappato alla roccia alcune balze aride, battute dai venti, che si inerpicano in modo repentino (da 200 e 550 metri sul livello del mare) e dove sono state piantate viti di Fenile, Ginestra e Ripoli, che spesso fuoriescono dai muri a secco di contenimento dei terrazzamenti. Il Furore Bianco Fiorduva che se ne ricava è un vino unico nel nostro panorama: premiato spesso come uno dei bianchi migliori d’Italia, ha caratteristiche che sono inconfondibilmente figlie di un’esposizione climatica e ai venti senza paragoni.

VINUDILICE – I VIGNERI
Sulle alture dell’Etna, a circa 1300 metri di quota, c’è un vigneto circondato da un bosco di lecci (da cui il nome Vinudilice) raggiungibile solo a piedi o a dorso di un mulo: per oltre un secolo ci si è dimenticati della sua esistenza e le vigne sono cresciute in modo incontrollato, tanto che dopo la riscoperta non è stato possibile identificare tutte le varietà presenti. Si sa per certo che ci sono uve di Alicante, Grecanico e Minella, ma altre restano misteriose. In questo luogo austero e difficile, l’enologo Salvo Foti ha avviato un progetto unico: vinificare ogni anno ciò che cresce, senza fare distinzioni, e imbottigliare uno spumante metodo classico rosé e un vino rosato fermo. Va da sé che ogni annata è differente dalla successiva, talvolta anche di molto, ma la qualità resta comunque sempre molto alta, caratterizzata da freschezza, mineralità e acidità uniche, figlie di uno dei vigneti più alti d’Europa.

BARBADIRAME DOLCEACQUA SUPERIORE – AGRICOLTORI RIVIERA DEI FIORI
Siamo nella Liguria di ponente, lungo la Val Nervia e la Valle Crosia, in provincia di Imperia, dove una serie di pendii pedemontani sono stati terrazzati con i caratteristici muretti a secco che la gente del posto chiama utilizzando il termine dialettale maixei (lo stesso di questa linea di vini estremi). Scarpinando su e giù e passando da 300 a 600 metri sul livello del mare, enologi e contadini si prendono cura dei vitigni di Rossese di Ventimiglia, chiamato anche Dolceacqua, un’uva a bacca rossa con la quale si produce il Barbadirame Dolceacqua Superiore, che affina in barrique di secondo passaggio e viene imbottigliato quando giudicato pronto, senza puntare a una data stabilita a priori.