White whisky: cos’è e quale assaggiare
(Credits: bhofack2/iStock) – 3 luglio 2018

White whisky: cos’è e quale assaggiare

di Aldo Fresia

Esistono dei distillati che non fanno invecchiamento in botte, ecco una nuova tendenza

Nel sottobosco della distillazione nordamericana esiste un prodotto piuttosto sconosciuto e raro, la cui esistenza ha soprattutto ragioni commerciali. Viene chiamato in vari modi, ad esempio white dog o white lightning, ma più spesso white whisky. È un distillato che non fa invecchiamento in botte e che di conseguenza si presenta con un colore simile a quello della vodka. È ancora definibile come un whisky? Sì e no: dipende dalle leggi di ogni stato. In Canada e Stati Uniti è fattibile, ma è un’eccezione più che una regola.

Niente legno
In molti paesi, ad esempio la Scozia e l’Irlanda, occorre che un distillato trascorra almeno tre anni in botte per poter essere chiamato whisky: il contatto prolungato con il legno è essenziale per sviluppare profumi e aromi, tanto che i produttori non lesinano investimenti quando devono acquistare le botti migliori, oppure sperimentano con quelle di secondo o terzo passaggio (per esempio quelle che in precedenza hanno contenuto sherry) allo scopo di ampliare e diversificare la gamma organolettica del prodotto finale. Perché mai, dunque, privarsi di un elemento così importante?

La produzione
Se il tempo è denaro, si intuisce facilmente che non poter vendere un prodotto per alcuni anni è un impegno economico importante. Quando però la legge non obbliga a un affinamento di almeno tre anni, allora i piccoli e piccolissimi distillatori, soprattutto se nati da poco, hanno la possibilità di ammortizzare una parte degli investimenti: basta imbottigliare il whisky dopo la distillazione e immetterlo subito sul mercato, così da poter vendere qualcosa in attesa che trascorrano gli anni necessari a commercializzare bottiglie invecchiate. Attorno al 2010-2015 la curiosità intorno ai whisky bianchi era tale che anche i pezzi grossi hanno cominciato a produrne qualcuno: ad esempio l’Unaged Tennessee Rye di Jack Daniel’s. In linea di massima, però, è rimasto un prodotto di nicchia.

Perché assaggiarlo
La mancanza di un periodo trascorso in botte rende questo tipo di prodotto meno ricco rispetto ai fratelli maggiori, un ‘difetto’ che gli amanti dei whisky potrebbero non gradire. È anche vero, però, che la materia prima e la distillazione sono le medesime e che di conseguenza la base è sufficientemente solida da garantire un assaggio interessante. Soprattutto, è l’occasione per capire a fondo l’influenza del legno nel processo di creazione di un whisky. Prendiamo ad esempio la produzione della Kings County Distillery di New York: il loro Moonshine è fatto con una miscela di mais e orzo (80 e 20%), la medesima che troviamo nel loro Straight Bourbon, che invece è invecchiato in botti di rovere. Degustarli insieme è forse uno dei modi più efficaci per capire a cosa serve il legno e diventare più consapevoli di quel che si beve.

Cosa provare
Anche senza privilegiare l’atteggiamento didattico, con annesso confronto ravvicinato, esistono dei white whisky che secondo gli esperti meritano più di altri. Non è semplice procurarseli, ma vale la pena di fare un tentativo con questi quattro: il Buffalo Trace White Dog (fatto in Kentucky, con frumento e un pizzico di mais), il Few White Dog (in Illinois, con mais) e poi l’Hudson New York City Whiskey, a base di mais, e il White Pike Whiskey, che nasce da una miscela di mais, farro e malto (entrambi distillati e imbottigliati nella città di New York). Uscendo dai confini statunitensi, il consiglio è di stappare un White Owl, il rye whisky della canadese Highwood Distillers.