MDMA, la droga dell’amore

MDMA, la droga dell’amore

di Vanni Santoni

Come molte altre sostanze, frettolosamente dichiarate illegali, anche questa, chiamata la “droga dell’amore”, sta vivendo un rinascimento grazie alle sue proprietà terapeutiche

E la gioia chimica? Chi è stato giovane negli anni 90 se la ricorderà: panico morale sui giornali, empatia alle stelle nei club e nei rave. Ecstasy: un termine scomparso come le pastigliette colorate dell’epoca, rimpiazzate dai cristalli sciolti nella fatidica bottiglietta d’acqua… In effetti l’MDMA non se ne è andata: certo non scatena più movimenti culturali come ai tempi della Second summer of love, e anche i quotidiani, sempre alla ricerca della “nuova droga” da demonizzare, si sono stufati di parlarne, ma è diventata una presenza fissa, ancorché meno visibile, della vita notturna di tutto l’Occidente, riconquistando terreno anche nelle cliniche. Quali cliniche? Occorre andare con ordine, perché la storia dell’MDMA è un viaggio ricco di tappe inattese.

Cominciamo con l’acronimo: sta per 3,4-MetileneDiossiMetAnfetamina, ma la metanfetamina c’entra il giusto. Per quanto le strutture molecolari si assomiglino, gli effetti sono molto diversi: pur mantenendo una parte del carico stimolante (ma non il rischio di dipendenza), nell’MDMA spicca quello entactogeno, ovvero di aumento dell’empatia. La sostanza, inoltre, non è “sintetica” nel senso assunto nel discorso comune, bensì un composto semi-sintetico estratto dal safrolo, presente in piante come sassofrasso, vaniglia e acoro.

Sex, Drugs, Pills and EDM Electronic Dance Music.

Text on letterboard, text on letter board

Quando nel 1912 il chimico Anton Köllisch, in forze alla Merck, la scoprì, stava cercando tutt’altro – un farmaco contro le emorragie – e come spesso è capitato nella storia delle sostanze, il potenziale della nuova molecola fu prima sottovalutato e poi frainteso. La Merck non trovò usi plausibili, e l’MDMA finì dimenticata fino agli anni 50, quando l’esercito USA cominciò a testare vari composti, come la mescalina, l’LSD e appunto l’MDMA: obiettivo, dar vita al fantomatico “siero della verità”. Nessun siero fu trovato, ma se l’LSD fuggì dai laboratori per diventare, negli anni 60, bandiera della controcultura hippie, l’MDMA non risuonò con lo Zeitgeist.Non che fosse passata del tutto inosservata: nel 1965, il sommo chimico underground Sasha Shulgin l’aveva riscoperta, ma pur noto per le sperimentazioni su se stesso, la testò solo dieci anni dopo. Notò il potenziale entactogeno e fu il primo a suggerire che avrebbe potuto avere impieghi in psicoterapia. Gli diede retta Leo Zeff, uno psicoterapeuta junghiano che la ribattezzò Adam («riporta gli umani a uno stato d’innocenza!»), e la rese popolare nella comunità degli analisti come acceleratore della terapia e come coadiuvante di quella di coppia.  


Questo “amore chimico” fu intercettato dalle sottoculture che nascevano negli anni 70, quando le utopie politiche erano morte e l’espansione di coscienza si riconfigurava in chiave edonistica: l’MDMA fu avvistata ai raduni dei sannyasin, gli adepti di Osho, che la portarono a Ibiza, ai tempi meta d’elezione del pubblico alternativo.

Non erano gli unici: anche la comunità gay si era accorta della sinergia tra la sostanza e la nuova musica elettronica, e c’era finito in mezzo pure un prete, il texano Michael Clegg, che dopo averla provata disse che era stato «come essere Mosè sulla montagna», e iniziò a somministrarla durante le sue celebrazioni (e a venderla legalmente, diventando milionario).
Fu così che, a metà anni 80, dj e clubber inglesi, arrivati sull’isola allo sbocciare della acid house, si accorsero di lei. Peraltro andava d’amore e d’accordo con l’LSD, che già conoscevano: nacque così la pratica del candy-flipping, e l’MDMA emigrò nel Regno Unito, dove premeva una poderosa onda musicale. Fu la Second summer of love, da cui sgorgò la scena rave come l’abbiamo conosciuta. Era il 1989 e ormai l’MDMA si era imposta come la party drug dell’epoca, facendo dimenticare i suoi promettenti usi medici. Non che non ci fossero stati effetti a loro modo terapeutici: l’avvento dell’MDMA portò alla fine della sottocultura hooligan, dato che quei ragazzi cominciarono a ballare e abbracciarsi invece di prendersi a botte.  

Digital generated image of abstract opened plastic capsule pill with small red spheres inside on pastel blue background.

Quei pazzi weekend mostrarono anche i rischi della sostanza: pur meno pericolosa di quanto gridassero i giornali – in Inghilterra finanziati anche dalla lobby dei superalcolici, che si era accorta che in discoteca tutti d’un tratto bevevano acqua invece che gin o vodka – non era certo atossica come gli psichedelici: un’overdose poteva causare pericolose sindromi se-rotoninergiche e surriscaldamenti, mentre l’uso costante causava uno scaricamento delle riserve di serotonina che poteva cronicizzarsi, portando alla depressione. La legge si svegliò nel panico, e decise di rendere illegale la molecola. Il paradosso, già visto con l’LSD, fu che il divieto non ne limitò la diffusione – nacque subito un fiorente mercato nero – ma farci ricerca sopra divenne impossibile.

White pills scattered over black background

Toccò attendere un altro decennio perché Rick Doblin, uno psicologo convinto del potenziale terapeutico di alcune sostanze finite nell’illegalità, riportasse la questione nel mainstream, fondando la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies: al di là del nome, la MAPS non avrebbe trovato il proprio tema di rottura in uno psichedelico, ma in un entactogeno. Proprio l’MDMA, il cui potenziale nel trattamento del disordine da stress post-traumatico, afflizione particolarmente diffusa tra i veterani di guerra, avrebbe permesso di trovare un consenso bipartisan verso l’autorizzazione della Food & Drugs Administration a riprendere gli studi… Il resto è storia, anche nostrana visto che, come racconta Federico Di Vita, host del fortunato podcast Illuminismo psichedelico e tra i capofila (assieme ad altri cultori della materia come Michele Anne Barocchi, Federico Menapace, Claudia Moretti, Marco Perduca, Diletta Cecchi, Tania Re e Letizia Renzini) dello sbarco, anche in Italia, della Fondazione MAPS. Obiettivo, sensibilizzare il pubblico e la classe medica sul potenziale terapeutico di questa e altre molecole, e magari arrivare a ciò che è accaduto il mese scorso in Australia: il pieno riconoscimento legale dell’MDMA come farmaco, e non come “droga”.