Jeremy Pope

Jeremy Pope

Jeremy Pope ha 31 anni e così tanto talento che quasi non sa dove metterlo: attore, ballerino, cantante, fotografo, musicista, icona di stile. Qualsiasi cosa faccia gli viene bene. «È il futuro», ha detto di lui uno che ne sa

di Angelo Pannofino

“Da bambino ero in grado, bendato, di giocare quattro partite a scacchi contemporaneamente. Le perdevo tutte.” Viene alla mente questa storielletta, dal sapore woodyalleniano, cercando il modo di introdurre un artista come Jeremy Pope, perché lì fuori c’è pieno di autopercepiti geni che giocano quattro partite contemporaneamente, perdendole tutte. E poi ci sono gli unicorni come Pope, che ne gioca anche di più e non ne perde una: canta, balla e recita in teatro (è il sesto, nella storia dei Tony Award, ad aver ricevuto nello stesso anno due nomination per due diverse performance), in tv (Hollywood e Pose) e al cinema (The Inspection e, prossimamente, The Collaboration e Scandalous!); da poco ha debuttato con la sua prima mostra di fotografie Flex (bitch) e, dopo sei singoli, quest’anno pubblicherà il suo primo Ep, Blind faith.

«Jeremy Pope è il futuro». E non sono certo io a dirlo autopercependomi genio della critica. Lo ha detto Ryan Murphy, produttore, regista e showrunner tra i più talentuosi e potenti di Hollywood, durante il suo discorso di accettazione del Carol Burnett Award ai Golden Globe. Quella sera, candidato come miglior attore per il suo ruolo in The inspection, era presente anche Pope: «Gli sono molto grato. Essere un artista non è solo il glamour e i red carpet, è anche dura: ho passato momenti difficili, e mi ha fatto davvero piacere sentirmi dire quelle cose da chi (affidandogli il ruolo di protagonista nelle serie tv Pose e Hollywood, ndr) mi ha dato una grande opportunità e ha cambiato il corso della mia carriera. Anche se quella più emozionata era mia madre seduta accanto a me».

Jeremy Pope
Total look Fendi

Accanto a lui c’erano anche il padre e il fratello. Una famiglia a suo modo funzionante: «I miei si sono separati quasi subito. Nella comunità nera e ispanica si sentono spesso storie di padri fannulloni o che spariscono, ma il mio ha fatto di tutto per esserci. Sono cresciuto diviso tra due famiglie, non il massimo, ma facendo analisi ho capito che sono persone che mi amano incondizionatamente. Certo, abbiamo avuto momenti di frizione, mio padre è un pastore (ecclesiastico, ndr) e un bodybuilder, entrambi ambienti iper-mascolini, ma sono stato educato per avere successo nella vita e per riuscire a sopravvivere in quanto bambino nero che cresceva negli Stati Uniti. Insomma, sono stato un bambino felice».

Felice e, si stenta a crederlo, timido. Evidentemente la prospettiva di passare i pomeriggi a correre su una pista dev’essergli sembrata perfino più terrificante che esibirsi su un palco, e così «quando al college ho dovuto scegliere tra atletica e il musical scolastico, ho scelto il musical. È stato bellissimo e da allora non sono più tornato indietro».

Jeremy Pope
Tutto Fendi

Recitare, dice, «per me vuol dire comprendere l’umanità». Il suo ultimo lavoro in teatro è stato The Collaboration, che racconta la breve ma intensissima collaborazione artistica tra la star in ascesa Jean-Michel Basquiat e la superstar Andy Warhol (Paul Bettany). Per oltre un anno e mezzo, Pope ha vestito i panni non proprio comodissimi dell’artista di origini haitiane, prima al Young Vic di Londra poi a Broadway e infine davanti a una macchina da presa quando l’opera teatrale è diventata un film: «Passare così tanto tempo con uno come lui è stato bellissimo e allo stesso tempo una delle cose più dure che mi sia capitato di fare. Basquiat mi somigliava: maschio, nero, cercava in tutti i modi di farcela, con tante doti e la sensazione di non sapere bene come esprimerle. Eppure riuscì a sfondare. E ci riuscì in un mondo prevalentemente bianco come quello dell’arte, in cui il successo di un nero non era contemplato. Ciò che ha fatto è grandioso ma essere l’unico nero in quegli ambienti doveva anche rappresentare un peso che gli logorava l’anima e lo ha portato a morire così giovane. Quindi per me si è trattato di trovare un equilibrio tra l’andare verso il personaggio e il non permettergli di avvicinarsi troppo alla mia anima sensibile».

Sia l’opera che il film sono diretti da Kwame Kwei-Armah, nero, come molti con cui Pope ha collaborato nella sua carriera. Anche per realizzare le immagini che vedete qui ha chiesto che il fotografo fosse nero, perché, spiega, «si tratta di dare un’opportunità agli altri, consapevole del mio privilegio. Fare carriera in questo settore, essendo nero, vuol dire sentirsi spesso isolati, quindi, quando posso, cerco di dare un’opportunità, visibilità a chi fa parte della mia comunità e ha talento, che sia un barbiere, un artista o un fotografo».

Jeremy Pope
Giacca e pantaloni Fendi

La comunità nera e quella LGBTQ+ lo hanno premiato per il suo attivismo su tematiche come inclusione e uguaglianza, soggetti centrali anche nel suo progetto fotografico Flex (bitch), presentato lo scorso dicembre durante Art Basel Miami: «Ho iniziato a fare il fotografo quando ero studente a New York, per arrotondare. Mi piace essere sia davanti sia dietro l’obiettivo. Queste foto riflettono la mia infanzia, cresciuto con un padre che il sabato era sul palco come bodybuilder e la domenica sul pulpito come pastore. Scattarle è stato come fare terapia: mi parlavano, mi interrogavano e mi facevano rendere conto di quanto anche io avessi interiorizzato l’omofobia. Portano a riflettere sulla mascolinità, parlano di fratellanza, sorellanza, comunità, femminismo, anima. Il “flex” del titolo è un invito a essere flessibili riguardo all’idea che abbiamo di noi stessi. “Bitch”, invece, è un insulto che, nella comunità queer, usiamo in senso opposto, per darci forza, tipo “Do it, bitch!”, quindi il titolo è un invito a essere mentalmente flessibili, perché è ciò che ci rende più forti».

E poi c’è anche il Pope musicista con il suo primo Ep, Blind Faith, in uscita quest’anno: «Nella vita sono piuttosto riservato e la musica mi ha dato uno spazio in cui parlare delle mie ferite, del mio dolore, dell’amore, dove esprimere la mia frustrazione».

Jeremy Pope
Maglia, pantaloni e scarpe Fendi

Queste cose Pope le racconta via Zoom da Miami, dove il caldo dicembrino gli permette di indossare solo una canottiera bianca, mise sobrissima se paragonata a quelle che sfoggia nelle occasioni mondane (al Met Gala si è presentato con uno strascico lungo dieci metri), dalle quali si intuisce che anche dietro la scelta dei look ci siano un pensiero e un’intenzione precisi: «È così: ciò che indossi parla per te senza che tu debba aprire bocca. La moda mi permette di esprimermi, esplorare, divertirmi. Adoro sfidare la narrazione comune di cosa uomini e donne dovrebbero o non dovrebbero indossare. Per questo, collaborare con un brand come Fendi è emozionante: mi dà la libertà di entrare in qualsiasi abito senza che nessuno mi faccia pressioni. La vita è preziosa e ognuno dovrebbe essere libero di esistere e presentarsi come gli pare, e la moda è un bellissimo modo per farlo. In fondo non stai facendo del male a nessuno».

Il senso di Pope per lo stile va quindi ad aggiungersi alla lunga lista dei suoi talenti: «Il mio team mi chiama “unicorno”», ride, «per via delle mie tante passioni». Perfino in “un mondo adulto, dove si sbaglia da professionisti”, come è quello dello spettacolo statunitense, dove alle star viene chiesto di saper cantare, ballare, recitare, intrattenere, uno come Jeremy Pope rappresenta un’eccezione. Un unicorno color arcobaleno.

In apertura Jeremy Pope indossa Fendi. Photos by Gunner Stahl, styling by Ali Kornhauser. Grooming: Caitlin Wronski. Styling assistant: Alex Cornwell.