Il lusso ritorna esclusivo come prima. O non è mai cambiato?

Il lusso ritorna esclusivo come prima. O non è mai cambiato?

di Giulio Solfrizzi

Negozi dedicati ai VIC, lidi esclusivi, borse limitate per cliente e partnership con hotel lussuosi: questa è la nuova versione dell’alta moda. Meno democratica e più desiderata

“Il termine lusso deriva dal latino luxus, che indica sovrabbondanza, eccesso. Parlare di questo significa dunque riferirsi a qualcosa di non necessario, che va al di là di ciò che è sufficiente o in qualche modo adeguato alle normali occorrenze della vita”, si legge sull‘enciclopedia Treccani. E come darle torto. L’ultima scarpa della griffa francese o italiana plurimilionaria non è vitale, questo è certo, ma oggi sembra esserlo in un’ottica consumistica. 

Perché il fascino dell’esclusività, del possedere un oggetto acquistabile da pochi stuzzica la mente umana. Di pari passo alla possibilità di avere un capo d’abbigliamento o un accessorio eterno, da lasciare in eredità ai posteri grazie alla sua estrema qualità. Allora, quando il lusso asseconda il nostro ego e ci aiuta ad emergere dal folto tessuto sociale, ci piace essere diversi dagli altri.

Foto di Victor VIRGILE/Gamma-Rapho via Getty Images
Sfilata Bottega Veneta Fall/Winter 23

L’esclusività del lusso: corpi e celebrità

Eppure ad un certo punto è sembrato che quel mondo parallelo, abitato da tutti coloro che sono il sogno erotico dei fashion insiders, si stesse allineando con il pianeta Terra. Si parlava di inclusività, travolta oggi da corpi in perfetto stile Y2K, e si ingaggiavano i fashion blogger, figure pubbliche più comuni, adesso parzialmente sostituiti dalle distanti e perfette celebrità hollywoodiane o asiatiche. 

I prezzi non erano modici ma neanche insostenibili e la moda si limitava ai vestiti, senza investire in attività elitarie ubicate in luoghi altrettanto elitari. Insomma, un’alta moda tendenzialmente democratica seppur con le dovute distanze tipiche di chi si colloca in cima all’anacronistica piramide sociale.

Via Getty
Galleria Vittorio Emanuele II a Milan

L’esclusività del lusso: negozi e lidi

Nonostante l’apparente avvicinamento alla democrazia, il clima post pandemico ha spazzato via le buone intenzioni. Chanel idea negozi dedicati ai VIC, Very Important Client, e Gucci ne inventa altri in cui “niente costerà meno di 40 mila euro e si arriverà fino a 3 milioni per l’alta gioielleria”, come dichiara il CEO e presidente del gruppo Kering François-Henri Pinault. 

Se da un lato c’è chi limita – direttamente o indirettamente – la cerchia dei propri acquirenti, dall’altro Dior e Missoni occupano le spiagge di Capri e Forte dei Marmi con loghi e trame iconiche. Non la “stessa spiaggia” o lo “stesso mare” citati da Mina in una sua canzone, tanto per intenderci.

Foto di Cyril Marcilhacy/Bloomberg via Getty Images
Negozio di Louis Vuitton sugli Champs-Elyse a Parigi

E le decisioni poco amichevoli non si sono fermate a bar firmati Prada presso Harrods, hotel 5* stelle con gadget personalizzati e ristoranti alla Polo Ralph Lauren, bensì si sono evolute in limitati numeri di borse acquistabili in un anno per cliente – vedi la già citata maison di Coco Chanel – e vertiginosi incrementi dei prezzi. Comunicando un messaggio chiaro: il lusso non è per tutti, e probabilmente non lo sarà mai. Anche nelle taglie, che non riflettono le reali necessità dei corpi al di sopra della 40.

La sconfortante essenza del lusso

E chissà se capiremo, un giorno lontano, che non è possibile un lusso accessibile. Perché non si chiamerebbe più tale e diventerebbe simile a ciò che già si acquista in comuni boutique di città. Perdendo il malsano fascino che lo caratterizza, contemporaneamente al motivo di essere. Ma la realtà dei fatti fa arricciare il naso, e alcune volte non fa comprendere l’impossibilità dei sogni. Specialmente a chi come me quel lusso, chiuso e sempre più distante, non lo raggiungerà mai. Eppure la mia attrazione nei suoi confronti aumenterà ingiustamente, e l’importante è esserne coscienti.