Valentino senza filtri: intervista esclusiva al grande couturier

Valentino senza filtri: intervista esclusiva al grande couturier

di Fédéric Martin-Bernard

L’ultimo esponente di una generazione di stilisti che, animati solo da istinto e passione, hanno sublimato il presente

«Dopo di me il diluvio!», afferma, in francese, “il signor Garavani” nel trailer del biopic Valentino: L’ultimo imperatore, dedicatogli nel 2008 dal regista americano Matt Tyrnauer. Non ci vuole comunque un genio per capire che questa affermazione sfrontata è stata estrapolata da un contesto; che si trattava più di una battuta durante una conversazione che non lo specchio della vera personalità dello stilista romano che, 13 anni più tardi, non si fa pregare per rispondere alle domande di Icon, pur avendo smesso da tempo di disegnare collezioni. Ci confida anche di seguire meno i défilé ora che non è più al centro della scena. Ma ha comunque avuto la curiosità di guardare le ultime Settimane della moda e le sfilate digitali imposte dalla pandemia. È inevitabile che lui, che ha condotto tutta la sua carriera a regola d’arte, cominciando a disegnare i suoi modelli sulla carta per poi trasferirli su stoffe pregiate, con ago e forbici sempre a portata di mano per drappeggiarle con grazia, sofisticatezza e ampiezza, non sia soddisfatto di questa creatività immateriale. Vi individua anche il pericolo di «esagerare con la drammaturgia della messa in scena quando gli abiti non sono all’altezza» – affermazione che offre a mo’ di consiglio saggio e prezioso, ora che quasi tutti gli altri grandi esponenti della sua generazione si sono ritirati dalle scene.

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Un ritratto del couturier romano

Ci siamo incontrati per la prima volta a Parigi qualche giorno prima del suo défilé di alta moda primavera-estate 2006, che si sarebbe poi rivelato l’ultimo nella Ville Lumière. Il nostro incontro doveva preannunciare i 45 anni della griffe Valentino, la cui celebrazione era prevista sei mesi dopo in Italia. Purtroppo, nel frattempo, la maison eponima fu ceduta a un nuovo azionista di maggioranza e l’anniversario romano si trasformò nello scrigno dell’ultima sfilata della sua carriera. Ma la stagione precedente, a Parigi, negli splendidi saloni Valentino affacciati su Place Vendôme, le top model erano tutte agghindate, truccate e pettinate per le prove come per il D-day. Era stato addirittura steso un tappeto a mo’ di passerella per poter muovere qualche passo sulle note del successivo défilé. A un’estremità era appostato lo stilista originario di Voghera, intento a giudicare ogni minimo dettaglio di ciascun modello, che doveva essere impeccabile come se fosse stato un debutto. «Finché ci sono io, da Valentino la couture non sarà diversa da così», afferma l’esigente professionista tra un’uscita e l’altra. «Io non sono qui per stupire il pubblico con dei modelli improbabili la cui durata di vita si limita a un avanti e indietro sulla passerella davanti a un muro di fotografi provenienti da tutto il mondo, ma per proporre alle mie clienti dei nuovi abiti indossabili… Dal 1961 ho sempre cercato di sublimare e rispettare il corpo femminile. D’altra parte, in tutti questi anni non penso di essermi mai dovuto vergognare di una sola delle mie creazioni». In effetti, gli eccessi del signor Valentino Garavani, in tutte le sue collezioni, si sono limitati all’eleganza, al lusso, alla raffinatezza e alla femminilità. E Pierpaolo Piccioli, che oggi è il direttore creativo della maison, ha chiaramente seguito le sue orme. In tandem con Maria Grazia Chiuri a partire dal 2008, poi solo al comando dal 2016, ha saputo infondere alla griffe di Piazza di Spagna un nuovo dinamismo, un’aria di sogno, opulenza, glamour, diversità e modernità, senza mai cadere, come il suo mentore, nel “too much”.

«Oggi Internet e i social media sono al centro di tutto, veicolando sia il bello sia il brutto. Ai miei tempi, i giornali e le riviste fungevano da filtro e hanno contribuito a creare i grandi nomi. Non credo che i blog odierni o Instagram facciano la stessa cosa. Dubito addirittura che fra 50 anni qualcuno si ricorderà dei talenti scoperti con il loro contributo»

Nel corso degli ultimi anni, il talentuoso direttore artistico italiano è addirittura riuscito, da solo, a ridare un’aura alla haute couture parigina, con volumi maestosi, plissettati, increspati, con colori che sono un inno alla gioia. Valentino ci confessa di «amare molto» il lavoro del suo delfino, soprattutto quando «il suo punto di partenza è l’essenza stessa di Valentino, che lui reinventa per renderla indossabile tutti i giorni». D’altronde, ai suoi tempi la griffe era meno accessibile e popolare. Lui era certamente in rapporti stretti con una pletora di attrici e celebrità, ma si trattava perlopiù di ambasciatrici intoccabili che accendevano più i sogni che le vendite.

Per contro, grazie all’intervento di Piccioli, negli ultimi anni il brand Valentino è riuscito a farsi conoscere e apprezzare da una clientela più giovane, varia, cosmopolita e internazionale. Senza però mai rinnegare la propria identità e lo stile originario. Il fondatore della maison afferma che, se dovesse rifare tutto da capo, non cambierebbe una virgola. E aggiunge: «Non ricomincerei» in funzione dell’epoca. «Oggi Internet e i social media sono al centro di tutto, veicolando sia il bello sia il brutto. Ai miei tempi, i giornali e le riviste fungevano da filtro e, così facendo, hanno contribuito a creare i grandi nomi. Non credo che i blog odierni o anche Instagram facciano la stessa cosa. Dubito addirittura che fra 50 anni qualcuno si ricorderà dei talenti scoperti con il loro contributo», aggiunge un uomo che è sempre stato molto attento a non bruciare le tappe in gioventù.


Valentino in compagnia di alcune celebrities

Da bambino, Valentino sognava il cinema, attrici scultoree e abiti indimenticabili. La madre trovava futili le sue passioni, ma lui si mise in testa di disegnare abiti da donna e, per questo, a 17 anni si trasferì nella capitale francese per seguire i corsi della scuola della Chambre Syndicale de la Couture Parisienne (l’organo di governo della moda francese e probabilmente la migliore scuola per modellisti del mondo). Successivamente ha fatto cinque anni di gavetta da Jean Dessès, maestro inarrivabile nelle tecniche di moulage, e altri due anni a fianco di Guy Laroche, che seduceva per la sua abilità nel taglio e nell’uso sapiente dei colori, per poi tornare in Italia a fondare una casa di moda che portasse il suo nome. «Adoravo Parigi, ma ero troppo giovane e non sufficientemente agiato per competere con i grandi nomi della moda francese», si giustifica. «Stabilirmi a Roma è stato più facile per me».  Nella Città eterna, all’inizio degli anni 60, il successo di questo giovane couturier che «voleva abbellire le donne» fu effettivamente immediato. Per contro, quello delle finanze della sua neonata società non lo fu altrettanto. Fortunatamente, però, Valentino incrocerà presto sul suo cammino Giancarlo Giammetti, che diventerà il suo partner nel lavoro e nella vita privata. 


Giancarlo Giammetti and Valentino Garavani

«Giancarlo mi ha dato libertà e sicurezza economica. Ha costruito una difesa e una protezione attorno a me, una sorta di ombrello sopra la mia testa in tutti questi anni. Senza di lui, non credo che il successo della maison Valentino sarebbe stato il medesimo». Così come Yves Saint Laurent non sarebbe stato altrettanto forte senza il suo mentore Pierre Bergé, con la differenza che Garavani e Giammetti hanno cercato di non pubblicizzare eccessivamente i loro legami di cuore. «Non abbiamo mai avuto problemi a questo proposito», afferma, come se la loro discrezione non fosse stata calcolata in un’epoca non troppo lontana in cui la società era nettamente meno liberale. «Eravamo giovani, forse belli, avevamo successo… La gente adorava tutto questo», aggiunge lo stilista romano che è l’ultimo grande couturier rimasto della sua generazione. Karl Lagerfeld, che lui frequentava quando quest’ultimo veniva a lavorare da Fendi a Roma, Hubert de Givenchy, che aveva un approccio simile all’eleganza e alla professione, Pierre Cardin, che – come lui – si era trasferito dall’Italia a Parigi, o ancora Kenzo Takada, solare e felice quando uscivano insieme nella Parigi degli anni del Palace (leggendario night-club parigino molto in voga negli anni 70), che non dormiva mai: tutti questi nomi si sono eclissati uno dopo l’altro, negli ultimi mesi e anni.Valentino è l’ultimo esponente di una “haute couture” che un tempo si scriveva con le lettere maiuscole: una generazione che fondeva arte e artigianato senza limiti o concessioni, animata solo da istinto e passione. 

Non ha mai avuto una predilezione particolare per la moda uomo, benché la maison abbia lanciato delle linee maschili a partire dagli anni 70. «Queste collezioni erano rivolte ai signori che accompagnavano le donne vestite da me. Non si trattava di una moda stravagante per farsi notare», aggiunge il Cavaliere, sempre vestito di tutto punto dall’alto dei suoi quasi 90 anni. Un ultimo consiglio per chi vorrebbe avere una carriera da sogno come la sua? «Non prestare troppa attenzione ai commenti e non smettere mai di credere in se stessi».