Anjelica Huston in conversazione con Bruce Weber
Photograph by Richard Avedon. Courtesy of The Richard Avedon Foundation.

Anjelica Huston in conversazione con Bruce Weber

di Digital Team

Nel numero di marzo di ICON, l’attrice americana viene intervistata da Bruce Weber. Una chiacchierata tra amici scandita da ricordi, immagini, musica e poesia.

Anjelica Huston, attrice e regista insignita del Premio Oscar, ha ricevuto riconoscimenti dalla National Society of Film Critics, dagli Independent Spirit Awards e dai Golden Globes. Ha ricevuto anche delle nomination per i BAFTA e gli Emmy Awards. Le sue memorie sono intitolate A Story Lately Told e Watch Me. Ci siamo sentiti al telefono qualche settimana fa per parlare del suo periodo d’oro — quando posava come modella per i più grandi fotografi del suo tempo, usciva con Jack Nicholson ed era sposata con Robert Graham. La sua orgogliosa discendenza in quanto figlia di John Huston e nipote di Walter Huston — entrambi giganti del mondo del teatro e del cinema — ha contribuito a renderla una delle migliori narratrici al mondo.

Anjelica Huston: Ciao Bruce!
Bruce Weber: Ciao Anjelica! È diventato stranamente freddo quaggiù in Florida, perciò ogni notte si ha bisogno di otto cani invece che di sei cani, capisci cosa intendo?
A: Penso che ti debba considerare fortunato.
B: Avevi dei cani quando vivevi in Irlanda? E stavano a letto con te per tutta la notte?
A: Certo che ci stavano. Fino a oggi, trovo che la vita sia solitaria se non ho un cane nel letto con me.
B: So perfettamente cosa vuoi dire. Volevo chiederti degli attori che erano la mia ispirazione per sentire che cosa ne pensi. Uno dei miei film favoriti di tutti i tempi This Sporting Life di Lindsay Anderson aveva nel cast Richard Harris. Sarebbe stato il boyfriend perfetto per te o dico una cavolata?
A: È un po’ avanti negli anni adesso, ma ho sempre amato il lavoro di Richard Harris. Era l’attore irlandese per antonomasia secondo la tradizione di O’Toole e Burton. Quello che Richard Burton era per il Galles, Richard Harris era per l’Irlanda: grande presenza fisica e sempre affidabile per una performance straordinaria.

B: Ho letto che gli piaceva un drink, il “Black Velvet”.
A: Sì, champagne e Guinness, fantastico. Sono cresciuta con la frase “la Guinness ti fa bene”, che penso debba essere vero fino a un certo punto — quel malto doppio è fortificante.
B: Pensare a Richard Harris mi ha fatto venire in mente la canzone MacArthur Park, scritta da lui insieme a Jimmy Webb.
A: “Qualcuno ha lasciato una torta fuori nella pioggia …”.
È una canzone ben misteriosa.
B: Strana vero? Bella però. “Non penso di poterla prendere / perché ci è voluto così tanto tempo per farla, non avrò mai quella ricetta di nuovo, oh no”. Secondo me esprime qualcosa sulle relazioni, il desiderio che le persone si innamorino di te, che ti ammirino e ti rispettino.
A: Veramente non ho mai capito il testo. Ammiro la tua interpretazione. Non so se ho mai pensato a quella canzone proprio in quel modo, per me è solo un testo strano fluttuante.
B: Di sicuro è un po’ intrippante. Nel tuo libro A Story Lately Told sono rimasto colpito da quante cose magiche ti sono capitate. Secondo me è per la persona che sei. Salti dentro
la vita in modo straordinario.

A: Ho appena preso parte alla serie di documentari Finding Your Roots condotto dal Professor Skip Gates. Le mie radici sono principalmente irlandesi, scozzesi e italiane, ma è saltato fuori che ho un 3,9% di Ashkenazita. Non avevo mai pensato di avere neanche un pochettino di sangue ebreo e sono stata veramente contenta quando l’ho scoperto!
B: Alcune persone, specialmente attori, non vogliono mostrare molto, ma con te è così facile parlare di tutto.
Qui nel mio studio ho una fotografia che adoro scattata da Sid Avery a Marlon Brando. Brando sta traslocando e sta svuotando gli scatoloni con in testa questo buffo cappello. Perché pensi che gli attori non facciano più questo tipo di foto?
A: Al giorno d’oggi viene data grande importanza alla privacy. A un certo punto gli attori cominciarono a sentirsi violati dall’intrusione nella propria vita privata e decisero di nascondersi. Secondo me, francamente, questo rende la scena meno interessante, particolarmente per quanto riguarda le interviste e la fotografia. Si perde così tanto di quello che è il carattere della persona. Sono una grande sostenitrice dell’aprirsi un pochino.

B: So che hai recitato per la prima volta in un film di tuo padre (John Huston), e che poi hai cominciato a lavorare come modella. In quel modo hai potuto conoscere molti fotografi meravigliosi e folli che ti hanno incoraggiato a fare l’attrice nelle loro fotografie. Le storie che hai realizzato con Dick (Avedon) in Irlanda — per me quelle immagini sono tra le migliori foto di moda mai realizzate.
A: Grazie, significano ancora tanto per me. La mia relazione con Dick era meravigliosa. Mi ha fotografato in un periodo in cui non avevo grande fiducia in me stessa e non sapevo che cosa stessi facendo. Ma lui ha visto qualcosa in me che gli piaceva. Era una persona che sapeva apprezzare quello che potevi offrirgli senza farne un affare di stato. Abbiamo scattato quelle fotografie nel corso di un paio di settimane nell’ovest dell’Irlanda, che è un luogo molto caro al mio cuore. Con noi c’era Babs Simpson, che è stata un grande direttore. Sono cresciuta lì, il che ha avuto un effetto sulle foto. Si trattava tanto di vivere un’avventura quanto di fare arte – la storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza nella natura. Quelle foto sembrano ancora così libere.

B: Quel tipo di viaggio non si organizza più, per nessuna rivista. Adesso si vola in un posto, si lavora quel pomeriggio, si fotografa il giorno seguente e si torna a casa la notte stessa.
A: Lo so. Ai vecchi tempi si andava in luoghi meravigliosi, si faceva un bel pranzo, si imparava a conoscere le persone con cui si lavorava… Non c’erano monitor, perciò la conversazione era in larga parte tra te e il fotografo e la relazione che si era costruita insieme. Adesso a volte è difficile dire per chi si sta lavorando. Ci sono sempre 16 diverse persone che fissano il monitor e non c’è contatto personale.
È una cosa molto strana. Penso che nelle foto oggi manchi un po’ l’anima. Le foto possono essere molto belle e perfette, ma io, a dir la verità, sono sempre interessata alle imperfezioni.
B: La mia insegnante, Lisette Model, scattò le fotografie più straordinarie per Harper’s Bazaar. Alexey Brodovich le chiedeva di fare una foto di una donna splendida e lei se ne tornava con la foto di una bellezza al bagno ben piazzata a Coney Island. Infrangeva tutti i tipi di limiti per quelli che sono venuti dopo. Me la presentò Diane Arbus e quando andai a mostrarle le mie foto è stato come fare l’audizione per un’opera teatrale. Fissava le foto a lungo senza dire niente. Era una tosta, ma io mi sono innamorato subito. Guardando il tuo libro mi sono ricordato con quanti grandissimi fotografi hai lavorato — il mio amico David Bailey, Bob Richardson…

A: Quel viaggio con Bailey è stato veramente divertente. Avevamo fatto le collezioni a Parigi quando io avevo circa 16 anni e mai avrei immaginato che avrei lavorato con lui di nuovo. Ma lui mi invitò a fare un servizio fotografico nel sud della Francia e in Corsica. Avevo appena cominciato una storia con Jack Nicholson e perciò ero molto riluttante a lasciarlo. Ma decisi di andare. Era agosto e Parigi era deserta quando arrivai. Alloggiavo al sesto piano dell’Hotel Esmeralda. La mia stanza guardava su Notre Dame — era piena di specchi — e quella prima sera che ero lì ho ricevuto fiori da sei uomini: Jack, Bailey, e non mi ricordo poi chi altro. È stato un momento così fantastico, crogiolarmi nel buon profumo dei fiori guardando la cattedrale. Mi sono incontrata con Bailey nel sud della Francia e lui mi ha spiegato che voleva fare il verso a tutti questi fotografi: David Hamilton, Helmut Newton, e Bob ovviamente. E così abbiamo fatto una foto con David Hamilton e poi una con Helmut nell’inquadratura. C’era molta allegria nella cosa. Abbiamo avuto un’intera avventura con Manolo Blahnik in Corsica. In quei viaggi l’esperienza era tanto importante quanto le fotografie stesse, come ci sentivamo in relazione a un paesaggio particolare.
La mia esperienza con Bob è stata diversa, in quanto sua musa del momento. Le fotografie di Bob a Donna Mitchell in Grecia per French Vogue hanno infranto tutte le regole della fotografia di moda del tempo. Insieme avevano creato la storia di una zingara che ha un amante, nuota nuda sugli scogli, fuma nei bar e piange. Quando ho visto quelle foto per la prima volta, mi ricordo che ho pensato, Oh mio Dio, questo è un film. Quelle immagini hanno avuto grande influenza. Lavorare con Bob, per quello che potevo giudicare, riguardava l’umore di Bob e chi era Bob e quello che sentiva — non era tutto sulla moda. Indossare Dior o Balenciaga o Valentino era un fatto accessorio — le fotografie erano tutte su di lui. Come persona che si è sempre interessata di arte e interpretazione, io amavo questo. Adoravo quell’avventura, che era spesso un’avventura molto triste perché Bob non era proprio quello che si dice un tipo allegro e spensierato.

B: Dunque, è molto complicato fare il fotografo. Non per difenderlo, ma devo dire che per me, e per tutti i miei amici che erano all’inizio, Bob era un idolo e lo è ancora tutt’oggi. Sono stato sorpreso di leggere nel tuo libro che quando eri una ragazzina perfino Robert Capa ti ha fotografata!
A: Ero una bambina. Sono davvero orgogliosa di questo.
B: Davvero di classe. Cosa mi puoi dire di Ara Gallant?
A: Prima di tutto, Ara era così ispirato dalla moda, e aveva questo incredibile gusto per la vita che era molto influenzato da Avedon. Le fotografie di Ara erano sexy e mettevano in dubbio le identità di genere e osavano molto. Ara e io ballavamo spesso fino all’alba.
B: Un’estate sono andato giù alle isole con un gruppo di amici dell’università. Eravamo sulla spiaggia quando arriva quest’uomo, vestito dalla testa ai piedi di pelle, che cammina con un altro tipo che penso fosse Peter Berlin. C’erano circa 43 gradi e ho capito che era Ara. Non l’avevo ancora incontrato, ma avevo sempre pensato che le sue foto erano così interessanti. Aveva una pettinatura incredibile, ovviamente. Oggi è perfino difficile immaginare che un tipo simile riceva un’offerta di lavoro.

A: Secondo me la gente si è spaventata molto dopo, diciamo, gli eccessi degli anni 80. Dopo un periodo di libertà e dissolutezza viene sempre la riforma. Penso che siamo appena passati attraverso un periodo di riforma e non ne siamo ancora usciti. Il pendolo oscilla, andiamo avanti e indietro tra: Una donna dovrebbe essere sexy? Dovrebbe essere una suora?
B: C’era certamente molto più flirt, sia che fosse musica, film o letteratura, pittura…
A: Tutto aveva doppi sensi ed era sexy. Certo, per gran parte del tempo da ragazzina bisognava allontanare le proposte non desiderate, ma non mi sono mai sentita incapace di prendermi cura di me stessa.
B: Quando stavo fotografando Obsession per Calvin era complicato. Secondo me nell’arte, nel cinema e nella fotografia in generale quello che può essere considerato sexy per me o per te potrebbe non essere sexy per qualcun altro. Io mi trovavo a giudicare le mie fotografie non basandomi sul fatto se fossero sexy, ma se avessero qualcosa di attraente, un senso di piacevolezza. Ho sempre pensato che quel tipo di giudizi sono molto personali.

A: Totalmente personali — e in larga parte il risultato di un certo fotografo che lavora con una certa modella e della loro decisione di che cosa volevano ottenere insieme. Guarda la Nascita di Venere di Botticelli: si potrebbe dire che il modello per la Venere era probabilmente un uomo — le mani sono grandi, la figura centrale è in qualche modo sgraziata. Ma fino a che punto si tratta di sesso o bellezza o dell’occhio di chi guarda? Se guardi il David di Michelangelo — quella è una scultura molto sexy. Le idee e le immagini vanno e vengono attraverso la nostra esperienza. Alcune cose sono scioccanti e altre totalmente accettabili. È tutto politico e riflette i tempi.
B: Per me, francamente, dovrebbe essere più emozionale e connesso ai sentimenti. Ero al Toronto Film Festival anni fa e dovevo fotografare Julie Christie. Eravamo in un parco, solo io, un assistente e Julie. Io stavo in piedi sopra di lei e le chiesi di abbottonare la sua camicia dove era aperta sul petto. E lei disse, «Oh, ne ho viste di cose, fai quello che vuoi». Quasi svenivo, mi fa impazzire. E così siamo ritornati alla macchina — Julie si è seduta sul sedile posteriore con il finestrino aperto alla pioggia. E anche se era completamente coperta era come se fosse nuda.

A: Mi ricordo anni fa un mio boyfriend mi regalò una bella piccola Mercedes decapottabile. Julie le diede un’occhiata e disse «Che schifo, è nuova di pacca — faresti meglio a ammaccarla». Adesso ho capito che cosa volesse dire — voleva vedere un po’ di segni di usura su quella macchina. Le piaceva vedere le cose un po’ danneggiate — è quello che la rendeva sexy. Secondo me una delle immagini più belle che ho visto era quella con Terence Stamp e Jean Shrimpton che camminavano lungo Pall Mall — mi è mancato letteralmente il fiato quando l’ho vista. Erano così liberi e sfrontati e imperfetti — e tutto voleva dire sesso.
Mi ricorderò sempre quando Bob Richardson mi disse, «Non metterti davanti a una macchina fotografica senza avere qualcosa in mente». Si capisce sempre quando una modella non sta pensando a niente. È per questo che mi sono sentita attirata a fare film. Fare la modella mi ha permesso di capire come mi vede la macchina fotografica e come creare l’illusione. Potevo diventare qualcuno che non ero e sognare lussuosamente. Ho sempre amato quell’esplorazione.

B: Sai come alimentare il mistero. Stavo lavorando per Italian Vogue a Miami una volta con Linda Evangelista, stavamo facendo la storia di una principessa ebrea con Isaac Mizrahi e sua mamma e una banda di ragazzetti di 10 anni tutti vestiti elegantemente con completi da uomo e la kippah. Linda era impeccabile per la parte, vestita perfettamente e completamente in Chanel con della gioielleria elegante mentre mangiava un sandwich con la carne in scatola al Rascal House Delicatessen. Linda era un’esploratrice nel modo che descrivi tu — lei veramente guardava le foto e pensava alla storia che il fotografo cercava di raccontare.
Devo dire, Anjelica, che sei stata davvero coraggiosa a intraprendere la carriera di attrice con la determinazione di avere successo in un modo così straordinario. Tuo padre deve esserne stato così orgoglioso.

A: È una cosa così gentile da dire da parte tua — il pensiero mi fa venire una lacrima agli occhi. Penso di essere stata una sfida per lui. Penso di averlo deluso su ogni fronte in quel primo film che abbiamo fatto insieme ma, glielo riconosco, non ha mai smesso di credere in me. Lui pensava di avere sempre ragione, ma non era così. Abbiamo dovuto scoprirlo insieme. Penso che alla fine, sì, era orgoglioso di me, e quello significava tutto. Lui aveva un bel rapporto con suo padre, Walter — libero e senza che si giudicassero troppo.
B: Sei capace di essere forte e di avere relazioni con uomini dalla personalità così potente — come Jack Nicholson, per esempio – ammirato dalla gente, ma complicato.
A: Voglio ancora bene a Jack. Sono andata a trovarlo ieri — tocca ancora le corde del mio cuore. È una di quelle persone… quando ti innamori di Jack, non puoi disamorarti. A cosa serve, no? Solo perché una relazione finisce non significa che si smette di voler bene a una persona. È strano tagliare i legami. Magari bisogna riprendersi un po’ all’inizio, ma poi, se è vero amore, sopravvive.
B: Potrei parlare con te tutto il giorno della fotografia — dovresti fare lezione a casa tua! Fai venire qualche giovane fotografo da te, e anche gente con più esperienza. Giusto per far capire alle persone che un modo così bello di lavorare esisteva una volta.
A: Dovremmo farlo insieme Bruce — e portarlo in giro!