10 icone non binarie gender fluid tra passato e presente
L'attivista Marsha P. Johnson, New York, 27 giugno 1982 (Photo by Barbara Alper/Getty Images)

10 icone non binarie gender fluid tra passato e presente

di Digital Team

Dalle pioniere dei movimenti di affermazione Lgbtq+, a tirar molotov nei moti di Stonewall, fino ai divi e ai pensatori recenti che rivendicano la loro fluidità, ecco 10 personaggi inneggianti alla libertà di genere

La lingua inglese corre incontro all’identità di genere non binaria con il pronome ‘they/them’ che, se usato al singolare, funziona come neutro. L’italiano di fronte alla fluidità di genere si barcamena come può con asterisco o schwa (una sorta di “e” capovolta) o altri segni che opacizzano le desinenze maschili e femminili (con l’Accademia della Crusca a puntualizzare giustamente che il genere grammaticale è cosa del tutto diversa dal genere naturale).
Le persone non binarie non si identificano immobilmente e fissamente né con il genere maschile né con quello femminile e fanno fatica a trovare nel dizionario termini che le rappresentino, al contrario delle cisgender, in cui sesso biologico e identità di genere collimano. E non tutte le persone non binarie si riconoscono come transgender. Alle spalle c’è quasi sempre un percorso di presa di coscienza e rivendicazione di sé spesso difficile e doloroso.

Ecco alcune icone non binarie, tra passato e presente, che hanno inaugurato o esplorato questa strada di liberazione. Per sé e per gli altri.

Marsha P. Johnson
Photo by Barbara Alper/Getty Images
Marsha P. Johnson all’angolo tra Christopher Street e la 7th Avenue durante la Pride March, New York, 27 giugno 1982

Marsha P. Johnson: «Pay it no mind»

Madrina dei moti di Stonewall, che nella notte del 28 giugno 1969 infiammarono New York come sommossa contro gli abituali raid della polizia nei cosiddetti “gay bar”, Marsha P. Johnson, classe 1945, è stata una pioniera del movimento per i diritti gay e trans.
«Pay It No Mind» il suo motto, «Non pensarci, Non farci caso», la frase che usava sarcasticamente quando le venivano poste domande sul suo genere. E proprio a questa frase si riferisce la “P.” messa a metà del suo nome (che all’anagrafe invece era Malcolm Michaels Jr.).

Quale il suo genere? «Pay It No Mind»

Dall’atteggiamento impavido, l’attivista transgender nera americana ha guidato la carica per i diritti Lgbtq+ in ogni fase del suo percorso, istigando la rivolta di Stonewall all’origine del Gay Pride.
Personaggio carismatico dal guardaroba accattivante, spesso in tacchi di plastica rossa e parrucche colorate con fiori tra i capelli, morta nel 1992 in circostanze non chiare (a 46 anni il suo corpo fu ritrovato nel fiume Hudson), si autodefiniva drag queen, in un’epoca in cui i termini transgender e non binario non erano ancora usati.

Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson
Photo by Bob Parent/Getty Images
Sylvia Rivera (a sinistra) e Marsha P. Johnson, ai lati dello striscione “Street Transvestite Action Revolutionaries” fuori dalla Manhattan House of Detention

Sylvia Rivera e la seconda molotov

Dici Marsha P. Johnson e pensi a Sylvia Lee Rivera, transgender di origini portoricane classe 1951 che ha trovato in Johnson una spalla e uno sprone che l’ha incoraggiata ad amare se stessa e la sua identità: «Era come una madre per me».
Anche lei in strada a lottare nei moti di Stonewall, da molti è accreditata come colei che lanciò la prima molotov contro un agente di polizia, per protestare contro l’ennesimo blitz vessatorio al bar Stonewall Inn, locale gay del Greenwich Village. Lei correggeva: «Ho lanciato la seconda, non la prima».

«Dobbiamo essere visibili. Non vergognarci di chi siamo»

Morta nel 2002 per un tumore al fegato, spesso rifiutata ed esclusa dalla stessa comunità gay, che ha più volte preso le distanze da transessuali, travestiti e drag queen, ha rappresentato una minoranza nella minoranza.
Tra le sue frasi da scolpire nel tempo: «Dobbiamo essere visibili. Non dovremmo vergognarci di chi siamo».

Alok
Photo by John Phillips/Getty Images for BoF
Alok, 1 dicembre 2022, Chipping Norton, Inghilterra

Alok Vaid-Menon in barba e rossetto

«Io sono d’accordo con i gay, ma tu sei troppo!», gli disse un uomo su un tram a Melbourne nel 2016 dopo avergli sferrato un pugno.
Scrittore americano non conforme al genere, pensatore pubblico, Alok Vaid-Menon in arte Alok si guadagna standing ovation sui palchi, tra poesia, commedia politica, conferenze, sound art e performance, anche se a volte ancora si sente vulnerabile quando cammina per strada.

«Fare arte mi ha dato il permesso di vivere»

Abbina con disinvoltura rossetto e barba incolta, folta peluria e abiti femminili spettacolari, verso una nuova idea di bellezza.
Classe 1991, cresciuto in Texas, da genitori immigrati malesiani e indiani, ha risposto al bullismo di cui è stato vittima negli anni attraverso l’arte. «Fare arte mi ha dato il permesso di vivere. Avevo bisogno di un posto dove mettere il dolore».
Il suo pronome? They/them. Una vita e una carriera artistica mossa da un ferreo scopo: superare il binarismo di genere in tutte le sue manifestazioni.

Sam Smith
Photo by Omar Vega/Getty Images
Sam Smith si esibisce sul palcod el 106.1 KISS FM’s iHeartRadio Jingle Ball 2019 alla Dickies Arena, 3 dicembre 2019, Dallas

Sam Smith cantante pop queer per l’inclusività

Sam Smith ha vinto cinque Grammy Awards, tre Brit Awards, tre Billboard Music Awards, un Golden Globe e un Oscar nella categoria miglior canzone, ma la vittoria più grande del cantante inglese di identità non binaria è stata coronare un faticoso e liberatorio percorso di scoperta di sé. Imparando a volersi bene. Con la sua musica che, come ha scritto su Instagram, ha abbracciato sempre più «una liberazione emotiva, sessuale e spirituale».

«Ho deciso di abbracciami per quello che sono»

«Dopo una vita in guerra con il mio genere, ho deciso di abbracciami per quello che sono, dentro e fuori», si arrese dichiarando amore a se stesso nel settembre del 2019, non riconoscendosi nel binarismo di genere uomo/donna.
È grazie al suo coming out che i Brit Awards dal 2022 hanno tolto le distinzioni di genere, rimuovendo i premi “Miglior artista femminile” e “Miglior artista maschile” e unificandoli in “Miglior performer britannico”, nel segno dell’inclusività.
A 30 anni, con il suo ultimo album Gloria, il cantante pop queer lancia un inno alla libertà di espressione, della sessualità e dei diritti Lgbtq+.

Asia Kate Dillon
Photo by: Nathan Congleton/NBCU Photo Bank/NBCUniversal via Getty Images via Getty Images
Asia Kate Dillon, 17 maggio 2019

Asia Kate Dillon prima star genderqueer della tv

Ha interpretato il primo personaggio non binario della storia della televisione mainstream, ovvero Taylor Mason, occhi chiari cerulei, capelli rasati, cravatta, giacca e pantaloni, analista finanziario di talento della serie tv Billions. E al suo pari, Asia Kate Dillon, 38 anni, attrice/attore statunitense alla nascita assegnato al sesso femminile, non si identifica né col genere femminile né con quello maschile. All’interno dello showbiz ha acceso importanti dibattiti sul gender degli attori, candidato ai Critics Choice Awards nella categoria miglior attore non protagonista (e non come migliore attrice non protagonista).

«Femminile è un sesso assegnato, non binario è per l’identità di genere»

È stato proprio Taylor Mason ad aprirgli la strada per definire meglio la sua identità: «Quando ho letto la sceneggiatura di Billions e la scomposizione del personaggio di Taylor Mason, il personaggio che interpreto, detto femminile e non binario, una piccola lampadina si è accesa nella mia testa… ho fatto un po’ di ricerca e ho scoperto che femminile è un sesso assegnato e non binario è in riferimento all’identità di genere e queste sono due cose diverse», ha detto ad ABC News. «Mi ha aiutato a dare un linguaggio a una sensazione che avevo avuto per tutta la vita».

Nel giugno 2019, in occasione del 50° anniversario delle rivolte di Stonewall, la rivista Queerty ha inserito Asia Kate Dillon nella lista Pride50, tra gli «individui pionieristici che assicurano attivamente che la società continui a muoversi verso l’uguaglianza, l’accettazione e la dignità per tutte le persone queer».
Dillon, che è anche la carcerata naziskin della serie tv Orange is the New Black, nel 2020 ha pubblicato il suo primo EP, Handsomehands, con i profitti a favore del Marsha P. Johnson Institute.

Jacob Tobia
Photo by Slaven Vlasic/Getty Images for Tribeca Film Festival
Jacob Tobia al Tribeca Film Festival, 4 maggio 2019 a New York

Jacob Tobia e il memoir sull’identità non binaria

Scrittore, produttore e performer non binario americano dai nonni siriani, Jacob Tobia è un’attivista classe 1991, segnalato da Forbes 30 Under 30 e Out100.
Laureato alla Duke University in difesa dei diritti umani, come leader Lgbtq+ è stato tra gli ospiti di Barack Obama alla Casa Bianca, in cravatta, giacca e tacchi alti.

«Che gioia incarnare l’amore trans/non binario»

Ha debuttato come attore nel cortometraggio Valentine di Beck Kitsis e Chris McNabb, basato sui ricordi della loro relazione e presentato al Tribeca, per cui ha detto: «Che gioia è stata innamorarsi sullo schermo di Sadie Scott e incarnare l’amore trans/non binario in un modo così potente».
Tobia è la voce del maestro del travestimento Double Trouble nella serie animata di DreamWorks e Netflix She-Ra e le principesse guerriere.
Il suo libro memoir Sissy: A Coming-of-Gender Story del 2019, con in copertina un suo ritratto con barba, ombretto, rossetto e orecchini, istruisce anche il lettore più disinformato sullo spettro delle identità non binarie raccontando le sue varie esperienze di coming out.

Janelle Monáe
Photo by Kayla Oaddams/WireImage
Janelle Monáe agli Academy Awards, 12 marzo 2023, Hollywood

Janelle Monáe e la sua energia oltre il binario

Janelle Monáe ha rivelato per la prima volta la sua identità non binaria l’anno scorso durante lo show Red Table Talk di Jada Pinkett Smith.

«Dio è molto più grande del “lui” o del “lei”»

La cantante americana nominata otto volte ai Grammy Awards, scopertasi attrice e vista nei film Moonlight, Il diritto di contare e Glass Onion – Knives Out, ha fatto così il suo coming out – anche se lei preferisce definirlo “coming in” -: «Semplicemente non mi vedo solo come una donna. Sento tutta la mia energia. Sento che Dio è molto più grande del “lui” o del “lei”».
Monáe, che si era dichiarata pansessuale nel 2018, ha aggiunto: «Starò sempre con le donne nere. Ma vedo solo tutto ciò che sono, oltre il binario».

Ruby Rose
Photo by Dimitrios Kambouris/Getty Images
Ruby Rose al Metropolitan Museum of Art, 1 maggio 2017, New York

La fluidità di genere di Ruby Rose

Modella e attrice australiana classe 1986, già da adolescente dichiaratasi lesbica, nel 2014 Ruby Rose ha invece fatto coming out come gender fluid, una fluidità di genere che la porta a cambiare nel tempo il suo sentirsi. In cella come avvenente menzognera nella terza stagione della serie tv Orange Is the New Black, è stata la donna pipistrello nella prima stagione della serie tv Batwoman.

«Sono molto fluida rispetto al genere»

Ruby Rose non si sente nata nel corpo sbagliato e preferisce usare per se stessa pronomi femminili, ma si identifica sia come maschio che come femmina. «Non sono trans», ha detto. E anche: «Sono molto fluida rispetto al genere e mi sento sempre più come se mi svegliassi ogni giorno in modo neutrale rispetto al genere».
Sul tema ha anche realizzato il cortometraggio Break Free.

Jonathan Van Ness
Photo by Steve Granitz/WireImage
Jonathan Van Ness partecipa agli Emmy Awards al Microsoft Theatre, 17 settembre 2018, Los Angeles

Jonathan Van Ness, parrucchiere genderqueer

Jonathan Van Ness, il parrucchiere americano star della serie tv Netflix Queer Eye, si identifica come non binario o genderqueer. Sebbene abbia affermato di preferire l’uso dei pronomi maschili ‘he/him’, ha anche usato i femminili ‘she/her’ e i neutri ‘they/them’ in modo intercambiabile. 

«Alcuni giorni mi sento uomo, poi altri giorni una donna»

«Alcuni giorni mi sento un uomo, ma poi altri giorni mi sento una donna», ha detto.
Eccolo quindi con barba, capelli lunghi curati, maglioncino delicato lilla e smalto colorato alle unghie. Oppure in baffi, barba ed abitino femminile sui red carpet.
Quando nel 2020 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che la discriminazione sul lavoro di persone Lgbt costituisce una violazione del Civil Rights Act del 1964, Van Ness ha descritto la sentenza come «un grande passo nella giusta direzione».

Ezra Miller
Photo by Dimitrios Kambouris/Getty Images
Ezra Miller a New York, 14 novembre 2019

Ezra Miller, Flash in tacchi a spillo

Sicuramente affascinante, spesso sopra le righe, deflagrante ed enigmatico alle prese con varie noie legali per le sue intemperanze, Ezra Miller sarà presto il supereroe Flash dell’universo della DC Comics al cinema, dopo essere stato il giovane tormentato Credence Barebone della saga Animali Fantastici.

«Mi identifico a malapena come un essere umano»

Classe 1992, sul set esuberante liceale gay in Noi siamo infinito (2012), figlio violento e diabolico in ..e ora parliamo di Kevin (2011), Miller è uno schietto paladino del gender fluid. L’identità, secondo lui, non è un binario ma uno spettro. Il suo neologismo? “Polycule”. Ovvero il mix delle parole “poliamore” e “molecola”, all’insegna di rapporti poliamorosi senza possessività, legati all’affinità di anime. E intanto sui red carpet sfoggia look vistosi e inneggianti alla fluidità sessuale, in tacchi a spillo e sgargiante make up.
«Non mi identifico come donna», ha detto. «Mi identifico a malapena come un essere umano».
Dal 2022 usa per sé il pronome “they/them”, “it” (pronome neutro e generalmente utilizzato in riferimento a cose, animali e piante) o il nuovo pronome neutro “zir”.