Catherine Deneuve: un Leone (d’Oro) all’antidiva del cinema
Courtesy of Tony Kent/Sygma via Getty Images)

Catherine Deneuve: un Leone (d’Oro) all’antidiva del cinema

di Andrea Giordano

La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha omaggiato, nell’apertura del 31 agosto, Catherine Deneuve, attribuendole il Leone d’oro alla carriera

Catherine Deneuve, non serve altro, basta nome e cognome, per definire un (anti)diva, consacrata tra i miti di sempre del cinema, ma che in fondo ci tiene a sottolinearlo più volte quando la incontriamo, «le cose sono cambiate nel tempo, ma io non ho mai pensato una volta di essere stata una sex symbol, o un’icona». La Regina di Francia della recitazione ha preferito inseguire la normalità, se così si può dire, incarnando, suo malgrado, personaggi però diventati leggendari, e forse, seppur non lo ammetta, a farla entrare in un immaginario collettivo e multiforme. Proprio lei sarà uno dei due Leoni d’Oro alla carriera della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2022 (l’altro andrà al regista-sceneggiatore americano Paul Schrader), riconoscimento assegnato nella serata d’apertura di ieri. Una celebrazione dovuta.

Era infatti il 1956, quando a 13 anni, nel film Le collegiali, iniziava un percorso incredibile, venendo scelta da André Hunebelle: fu un esordio d’adolescente, in punta di piedi, a cui seguirono però parti minori, tali quasi da farle pensare di abbandonare una possibile carriera. Non successe. La svolta vera arriva nel 1964 grazie a Jacques Demy che la dirige ne Les Parapluies de Cherbourg, una commedia musicale che la proietta subito all’attenzione generale. Il resto è storia. Di li a poco arrivano due ruoli memorabili, in Repulsion di Roman Polanski, e Bella di giorno di Luis Buñuel (Leone d’Oro a Venezia nel 1967), interpretando una donna fredda nei confronti del marito, che prova a “curarsi”, psicanalizzandosi in una casa d’appuntamenti. Basterebbero questi due titoli a sancirne la grandezza, a intercettare i cambiamenti di un’estetica al femminile mai vista, che con lei si trasforma in modernità, stile, fascino, forza, ispirazione, al punto da offrire ancora oggi tendenze e ispirazioni, un nuovo sguardo sul cinema.

Le collaborazioni e le battaglie personali

Ha lavorato con tutti: da Roger Vadim (Il vizio e la virtù), suo primo marito e padre di Christian, a François Truffaut (La mia droga si chiama Julie e L’ultimo metrò), Marco Ferreri (La cagna e Non toccare la donna bianca), Mario Monicelli (Speriamo che sia femmina), Agnès Varda (Le creature), e ancora Dino Risi, Claude Lelouch, Lars von Trier (Dancer in the Dark), fino a François Ozon, col quale ha girato 8 donne e un mistero e lo splendido Potiche, o Nicole Garcia, con la quale nel 1998, sempre a Venezia, ha conquistato la Coppa Volpi di miglior attrice in Place Vendôme. Senza dimenticare ovviamente film come Indocina (nomination all’Oscar come miglior attrice), o i partner maschili al suo fianco, da Gérard Depardieu, Vincent Pérez, Philippe Noiret, Vittorio Gassman, Jean-Paul Belmondo e soprattutto Marcello Mastroianni, l’altro grande amore della sua vita, da cui ha avuto la figlia Chiara, anch’essa attrice. Nella vita, l’anno prossimo compirà 80 anni, se parliamo invece di premi ha praticamente conquistato tutto, la Palma d’Oro onoraria a Cannes, l’Orso d’Oro alla carriera alla Berlinale, due premi César, ed ora appunto il Leone d’Oro. «Ogni percorso è diverso, individuale», racconta.

«Io ho cercato di mantenermi fedele a me stessa, ai miei gusti e personalità, alle idee che volevo portare avanti, questo è fondamentale».

Dotata di una bellezza sofisticata e fuori dal comune, ogni volta ha lasciato traccia, sul set, rappresentando donne sempre diverse, issandosi a testimone simbolica della Nouvelle Vague francese, passando in rassegna oltre 50 anni di generazioni, che da lei hanno universalmente imparato l’arte, ma anche una forma importante di attivismo politico e sociale, di esposizione in prima linea, come nel mostrare, ieri, sulla propria camicia la bandiera ucraina. Ed è là che Catherine Deneuve non si è mai tirata indietro nelle battaglie reali, lottando per la legalizzazione dell’aborto nel 1971 appoggiando l’avvocato femminista Gisèle Halimi, sostenendo i diritti dei movimenti LGBT, di Amnesty International contro la pena di morte, criticando oltremodo il #MeToo, ma rimanendo accanto alle vittime di violenze.

Ed alla fine è riuscita pure a far capitolare, quasi 40 anni fa, anche una grande azienda italiana d’auto, che puntando sull’esclusività, le chiese di far parte di uno spot facendole dire la battuta, ormai di culto: “Oui, je suis Catherine Deneuve”.