Daniel Pennac racconta di sè (e soprattutto di Maradona)

Daniel Pennac racconta di sè (e soprattutto di Maradona)

di Andrea Giordano

Daniel Pennac, il grande scrittore francese, ci conduce attraverso un progetto su Maradona, e anche un po’ riguardo a cosa ha davvero rappresentato

«Ho deciso di cominciare ogni intervento dicendo questa cosa», inizia così Daniel Pennac, uno dei più grandi autori contemporanei, ospite d’eccezione all’ultima Festa del Cinema di Roma con Daniel Pennac: Ho visto Maradona!, il bellissimo progetto diretto però da Ximo Solano, prossimamente in onda su Sky Arte e in streaming su NOW. «Vivendo in Europa, in Francia, non lontano da uno stato, l’Iran, che uccide le donne, e col quale abbiamo delle relazioni diplomatiche normali, non posso che provare una vergogna assoluta. È un fenomeno del tutto inedito, mai visto una cosa del genere, mai visto un governo che legittima questa follia». Batte sull’attualità, ci tornerà ancora durante la chiacchierata. Impossibile non parlarne. Lo scrittore e saggista, famoso anche per il ciclo di Malaussène, la serie fortunata di romanzi, con protagonista il suo Benjamin Malaussène, è in Italia per qualcosa di davvero molto particolare e sentito.

Parliamo di un documentario work in progress, ambientato a Napoli, realizzato con la Compagnie francese Mia, composta da artisti da tutto il mondo, uniti ad un gruppo di attori partenopei. Il legame: una delle leggende del calcio, probabilmente la più importante, Diego Armando Maradona e in particolare l’effetto che il ‘Pibe de Oro’ ha avuto sulla gente, in vita, e poi dopo la sua scomparsa, avvenuta il 25 novembre 2020. L’intento, tradurlo in uno spettacolo teatrale appassionato, ripreso poi dalle camere. Si assiste così ad un vero viaggio tra la gente, i tifosi, i volti, i rioni, lo stesso stadio Diego Armando Maradona, il linguaggio teatrale e quello cinematografico, che attraversa una città allo stesso tempo, protagonista e oggetto del documentario, palcoscenico e voce variopinta del mito stesso di Maradona. Un’occasione per Pennac, che dialoga con nomi come Roberto Saviano, Maurizio De Giovanni, per scoprire molto (ed in maniera inedita) anche di sè, del suo approccio all’arte, alla scrittura, allo sport.

Courtesy of Feltrinelli
Daniel Pennac tira con l’arco durante il docufilm “Daniel Pennac: Ho visto Maradona!

Il suo Malaussène di professione fa il ‘capro espiatorio’, secondo lei Maradona ha subito la stessa sorte?

Non c’è alcun rapporto, ma hanno sicuramente un punto in comune, il senso della collettività, creando, intorno a loro, vere e proprie tribù. Maradona, semmai, lo è stato sì: in campo era intoccabile, ma fuori, o anche quando è morto, altri tifosi, i cosiddetti benpensanti, hanno subito detto ‘si drogava’ o ‘frequentava la mafia’.

Com’è nato il progetto?

Da un sogno avvenuto, in maniera del tutto involontaria, proprio il giorno prima che morisse. Camminavo verso una porta chiusa e il mio amico Stefano Benni aveva il bisturi in mano, stava operando Maradona, poi d’un tratto mi sono svegliato. Scendendo a far colazione, ho visto due amici attori, in lacrime, vedevo nei loro occhi il dolore, la notizia che poi mi avrebbero dato. Ed era reale. 

Lo conosceva Maradona?

No, sono sincero, l’ho scoperto in occasione dell’allestimento dello spettacolo, e così il calcio, mi era estraneo. 

Cosa ha capito di lui girando per Napoli ed in mezzo alla gente?

Trovo  pericoloso rispondere, in generale non capisco nulla di nulla. Ho visto un ricordo incarnarsi nelle persone,  compresi chi non lo conosceva, è l’ unico giocatore che ha creato questo effetto.

Ci sono stati altri come lui ad avere questo potere sulle masse?

spettacolo,Quando io ero giovane c’era Platini, anche lui segnava gol impossibili, talvolta dal corner. Dopo, più recentemente, è arrivato Zidane, sembrava un animale immobile, un’artista, molto bello, ieratico. Maradona era un’altra cosa. Nonostante fosse minuto, più largo che lungo, bastava che avesse un pallone per compiere il miracolo. Lo paragono a Pina Bausch, in campo danzava, sembra un ballerino, sapeva essere poesia e coreografia.

Nel docufilm la si vede tirare con l’arco, lo fa abitualmente?

Sì, è una forma di rito zen. Quando lavoro troppo mi devo fermare, allora scocco 5-6 frecce verso il bersaglio, succede sia in esterna che all’interno del mio fienile in campagna. Vado avanti finchè non faccio tutti i centri, e dopo ricomincio, ma quel movimento in cui tendo l’arco e sto per tirare, dura mezzo secondo, ma è un momento di osmosi completo.

Da giovane praticava sport se non sbaglio.

Il pugilato, anche quella è una danza, in cui schivi i colpi. Il più grande è stato Muhammad Alì, vederlo boxare era come se non ci fosse nessun pugile sul rint, è lo sportivo che più mi ricorda Maradona, era un ballerino, un poeta, ricordo i suoi grandi monologhi deliranti, erano magnifici.

Perché poi si è dato alla scrittura?

Per cancellare quel ‘stai zitto’ che mi veniva detto da piccolo in famiglia, per raccontare delle storie e a se stesso. I genitori, padri, madri, doverebbero sempre raccontare delle storie ai loro figli, inizialmente sarà noioso, poi, col tempo, si avvicineranno alla letteratura, magari leggeranno Erri De Luca, Il deserto dei tartati di Buzzati, La lucina di Moresco. Spesso è proprio grazie alle storielle che alcuni anni dopo si creeranno il loro immaginario, la propria compagnia vitale. Se questo non dovesse accadere, ne faranno dei cosumatori. Meglio un attore d’amore e di lettura, fosse solo per 15 minuti, per vedere che un giorno chiederanno di smettere, e vorranno leggere in maniera indipendente, quello sarà il bello. Perché ho cominciato a scrivere? Per non sentire più quel ‘stai zitto Daniel’

Da piccolo allora le hanno letto delle storie?

No, per niente. Mia madre aveva quattro figli maschi, doveva lavorare tanto, era molto complicato. Nessuna favola, lei ci provava a volte, ma nulla, ho scoperto io ciò che mi piaceva, è così che ho iniziato ad appassionarmi ai romanzi.

Torniamo infine a Maradona. La sua era una voce che faceva anche da cassa di risonanza, non crede?

Sull’Iran, magari non si sarebbe tagliato i capelli, ma sono certo che avrebbe parlato, detto parole importanti.  Viviamo tempi durissimi, c’è la guerra in Ucraina, diventata ormai un’abitudine mostruosa, un conflitto atroce. Ci sono le persone che annegano nel Mediterrano e che l’Europa si rifiuta di accogliere, con la scusa di rappresentare una minaccia. C”è qualcosa di ancora più grave, l’egoismo della civilità, un imbarbarimento che è purtroppo manipolabile, anche, spesso, troppo, dal punto di vista politico.