Festival di Venezia 2021, i 5 film italiani in concorso
Foto: Biennale di Venezia

Festival di Venezia 2021, i 5 film italiani in concorso

di Simona Santoni

Ben 5 gli italiani in concorso: era dal 1984 che non accadeva. Paolo Sorrentino è il portabandiera, ma le attese sono tutte per il ritorno di Gabriele Mainetti e i suoi “mostri”

Era dal 1984 che non capitava: sono ben 5 gli italiani in concorso, in corsa per il Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia, edizione 78 (in programma al Lido dall’1 all’11 settembre 2021), guidati dal portabandiera Paolo Sorrentino. Accanto a lui i fratelli d’Innocenzo, Gabriele Mainetti, Mario Martone, Michelangelo Frammartino.
37 anni fa nessuno dei cinque film italiani vinse premi importanti, giusto Claudia Cardinale conquistò il premio collaterale Pasinetti alla miglior attrice con Claretta di Pasquale Squitieri. Speriamo che alla spedizione tricolore quest’anno vada meglio.

Del resto le parole del direttore artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica Alberto Barbera, sono promettenti: «Presenza italiana più consistente del solito? Non per ossequio nei confronti della produzione nazionale, né per aderire a un trattamento di favore inteso a sostenere i nostri colori in un momento di difficoltà. Al contrario, la selezione italiana è la fotografia di un momento di grazia, nel quale cineasti già affermati sembrano in grado di esprimersi al meglio delle loro capacità, mentre altri si confermano punti di riferimento imprescindibili per il cinema di oggi e di domani».

L’alfiere del quintetto italiano

Paolo Sorrentino, premio Oscar nel 2014 al miglior film straniero con La grande bellezza, è quello attorno a cui gravitano le maggiori attenzioni internazionali.
Beniamino del Festival di Cannes, Sorrentino recentemente ha presentato invece a Venezia alcuni episodi delle sue serie tv The young Pope e The new Pope. Ora torna al Lido con il suo film più personale, È stata la mano di Dio, in cui rinnova per la settima volta la sua collaborazione con Toni Servillo. Il regista napoletano riapre una pagina dolorosa della sua vicenda personale, la morte dei suoi genitori quando aveva 16 anni, a cui Paolo scampò per caso, grazie a… Maradona. I genitori morirono nel sonno nella casa di montagna a causa di un’intossicazione di monossido di carbonio, lui era rimasto in città per andare a vedere una partita del Napoli. «A me Maradona ha salvato la vita», ha detto.

Nel film il suo alter ego in una Napoli degli anni Ottanta è il diciassettenne Fabietto Schisa (Filippo Scotti), un ragazzo goffo che lotta per trovare il suo posto nel mondo, ma che trova gioia in una famiglia straordinaria e amante della vita. Fino a quando alcuni eventi cambiano tutto. Uno è l’arrivo a Napoli di una leggenda dello sport simile a un dio: l’idolo del calcio Maradona, che suscita in Fabietto, e nell’intera città, un orgoglio che un tempo sembrava impossibile. L’altro è un drammatico incidente che farà toccare a Fabietto il fondo, indicandogli la strada per il suo futuro. Apparentemente salvato da Maradona, toccato dal caso o dalla mano di Dio, Fabietto lotta con la natura del destino, la confusione della perdita e l’inebriante libertà di essere vivi.
Nel cast anche Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo.
È stata la mano di Dio sarà presto in streaming su Netflix.

I giovani dalle grandi attese

Se Sorrentino è ormai veterano e punta di diamante a livello internazionale, le attese dei cinefili italiani sono soprattutto per il sospirato ritorno di Gabriele Mainetti e per la conferma di Damiano e Fabio D’Innocenzo.

Chi ha visto l’opera prima di Mainetti, il cinecomic romano Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), con supereroe di Tor Bella Monaca che acquisisce i poteri dopo essersi tuffato nel Tevere inquinato, non può che aspettare con trepidazione Freaks Out, la cui uscita è stata più volte rimandata a causa della pandemia. A Mainetti, classe 1976, hanno proposto il rilascio in piattaforma digitale, anche a cifre che avrebbero ripagato il grande investimento produttivo (circa 12 milioni di euro), ma ha orgogliosamente rifiutato, credendo che Freaks Out dovesse uscire in sala (sarà al cinema dal 28 ottobre con 01 Distribution).
Lo chiamavano Jeeg Robot fu una folgorazione; vinse sette David di Donatello e ne avrebbe meritati anche di più. Tra i protagonisti torna Claudio Santamaria, che fu il Jeeg Robot che sradica bancomat. Ed è ancora un tipo speciale. Insieme ad Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto e Giancarlo Martini, è tra i ‘fenomeni da baraccone’ di un circo senza guida nella Roma del 1943, in piena seconda guerra mondiale. Santamaria è ricoperto di peli dalla testa ai piedi, Giovinazzo è una ragazzina elettrica che può accendere lampadine semplicemente tenendole con le labbra, Castellitto è un giovane che sa governare gli insetti, Martini un nano che attira i metalli. Sono i “freaks”, i “mostri”, i diversi che hanno popolato il cult del 1932 Freaks di Tod Browning, classico del macabro.
Barbera ha garantito che Freaks Out non deluderà: «Troverete tracce di Fellini, Leone, in un film che rimane personalissimo, originale, molto importante».

Freaks Out
Foto: 01 Distribution
Claudio Santamaria, Pietro Castellitto e Giancarlo Martini nel film “Freaks Out” di Gabriele Mainetti

I fratelli gemelli D’Innocenzo, tra l’altro anche loro romani, proprio di Tor Bella Monaca, pur giovani (trentatreenni) cercano conferma su una nuova platea internazionale, dopo aver vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2020 con Favolacce (il loro esordio La terra dell’abbastanza fu ugualmente presentato a Berlino, nel 2018). Tornano con America Latina (2021) e, come con Favolacce, si affidano al talento di Elio Germano.
America Latina è una storia d’amore e, come hanno detto gli stessi registi, «come tutte le storie d’amore è ovviamente un thriller».  E secondo Barbera: «Una sorta di assolo, con uno straordinario Germano. Un film con importanti sorprese».
Uscirà al cinema il 25 novembre con Vision Distribution.

America latina
Foto: Biennale di Venezia
Immagine del film “America latina” dei fratelli D’Innocenzo

Dal teatro napoletano agli abissi calabresi

Gli altri due italiani sono un veterano e un autore da scoprire.

Mario Martone, che ultimamente ha fatto tappa fissa a Venezia (con Noi credevamo, Il giovane favoloso, Capri-Revolution, Il sindaco del rione Sanità), da buon napoletano, classe 1959, propone Qui rido io, la biografia della leggenda del teatro comico napoletano Eduardo Scarpetta. Chi lo interpreta? Toni Servillo, che ne sa di napoletanità e di teatro (e che è a Venezia con tre film: oltre al film di Sorrentino, è in Ariaferma di Leonardo Di Costanzo fuori concorso). Nel cast anche Maria Nazionale, Antonia Truppo, Iaia Forte.
Secondo Barbera, «Servillo giganteggia in una ricostruzione d’epoca assolutamente originale».
Uscirà nelle sale italiane per 01 Distribution il 9 settembre.

Qui rido io
Foto: 01 Distribution
Toni Servillo nel film “Qui rido io” di Mario Martone

Infine, Michelangelo Frammartino è in corsa per il Leone d’oro quasi a sorpresa: quando Barbera, dopo aver visto il film, lo ha invitato nella sezione in concorso, lui proprio non se lo aspettava. Milanese dalle origini calabresi, classe 1968, tre film in diciotto anni, presenta al Lido Il buco, l’impresa speleologica che portò, nel 1961, alla scoperta della seconda grotta più profonda del mondo, l’Abisso di Bifurto, in Calabria. Un film che nasce proprio dall’amore di Frammartino per la terra d’origine dei suoi, il Sud, la Calabria. E come i suoi lavori precedenti è ambientato in Calabria. La sua opera seconda, Le quattro volte, nel 2010 si era guadagnato un palcoscenico nella Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes.
Il buco è un’opera, senza dialoghi e senza musica. Un film, ha detto Barbera presentandolo, che ha la «purezza del diamante».
Uscirà al cinema con Lucky Red. 

Il buco
Foto: Lucky Red
Immagine del film “Il buco” di Michelangelo Frammartino

Ultimo Leone d’oro italiano 8 anni fa

È dal 2013 che l’Italia non vince il Leone d’oro a Venezia. Allora riuscì al documentario sul grande raccordo anulare Sacro GRA di Gianfranco Rosi: come presidente di giuria c’era il nostro Bernardo Bertolucci e il premio fu applaudito ma sembrò un po’ generoso.

Prima ancora, bisogna risalire al 1998, a Così ridevano di Gianni Amelio. A capitanare la giuria quest’anno ci sarà un regista e cinefilo attento e originale come Bong Joon-ho, l’autore del film premio Oscar Parasite.

Se ultimamente il cinema italiano ha fatto fatica a farsi valere al Lido, l’Italia è comunque il Paese che ha conquistato più Leoni d’oro, 11, insieme a Francia e Stati Uniti (l’ultimo Leone d’oro, Nomadland di Chloé Zhao, è stato a stelle e strisce). Tra gli 11, ci sono titoli memorabili come La grande guerra di Mario Monicelli nel 1959 e Deserto rosso di Michelangelo Antonioni nel 1964.

Poche settimane fa il Festival di Cannes ha assegnato la Palma d’oro a un film francese, Titane.
L’11 settembre, durante la cerimonia di premiazione della Mostra di Venezia, condotta dalla madrina Serena Rossi, l’importante è che vinca il buon cinema.