Flee, il cartone animato sul rifugiato afgano gay (caso unico agli Oscar)
Credits: Final Cut for Real

Flee, il cartone animato sul rifugiato afgano gay (caso unico agli Oscar)

di Simona Santoni

Un film struggente, che centra anche i cuori più inamidati. Grazie all’animazione usata con lucidità e tenerezza, protegge il suo protagonista e commuove

Flee (in danese Flugt): ovvero fuga. Una fuga straziante, dall’Afghanistan e alla scoperta di sé, di quelle che vediamo tante volte nei tiggì ma che ci lasciano spesso con occhi appannati e indifferenti. E invece il regista danese Jonas Poher Rasmussen ci porta dentro un racconto commovente, alla ricerca di una casa e della propria identità sessuale, che toglie ogni sbadiglio di opulenta noncuranza. E tutto tramite un’animazione vivida e sensibile. Sì, Flee è un cartone animato, ma documentario, che apre anche i cuori più inamidati.

Dal 10 marzo nelle sale italiane, storia vera di un rifugiato afgano gay, Flee è il primo film di sempre candidato al contempo ai tre Oscar a miglior film internazionale, miglior film d’animazione e miglior documentario.

Il cartoon israeliano Valzer con Bashir del 2008 aveva già raccontato la guerra unendo animazione e documentario, ma ottenendo solo la candidatura all’Oscar a miglior film straniero (vincendo però il Golden Globe).

Cos’è la casa per noi? E per un rifugiato?

Amin, il protagonista di Flee, è la faccia bella e realizzata dell’Occidente, ex bambino rifugiato, ora trentaseienne docente universitario affermato, omosessuale in procinto di sposarsi con il suo compagno Casper. E forse questo ci porta a sentirlo più vicino a noi rispetto ad altre storie sbirciate con poco interesse alla tv: il suo fisico curato e atletico, la camicia bianca e la barba non rasata da qualche giorno, un lavoro che lo fa viaggiare spesso verso gli States. Ma alle spalle Amin ha un macigno che blocca i suoi passi verso il matrimonio e verso una nuova casa e vita da condividere.

Amin in realtà è uno pseudonimo usato da Jonas Poher Rasmussen per proteggere l’identità del suo amico, ex compagno di studi che arrivò in Danimarca da adolescente. E che prima d’ora non aveva mai raccontato il suo passato. Sceglie di farlo con Rasmussen, e con noi, compiendo così una sorta di catarsi.

Flee
Credits: Final Cut for Real
Immagine del film “Flee”

«Avendo già realizzato documentari radiofonici, ho usato la tecnica di intervista che ho impiegato per anni, in cui i soggetti si sdraiano e chiudono gli occhi, ricordando come le cose sembravano, odoravano e che sensazioni evocavano, così i loro ricordi diventano forti e immediati, come se si stessero dispiegando nel presente», spiega Jonas Poher Rasmussen.

E l’animazione diventa la via di accesso: «Amin voleva fare i conti con il suo passato, perché tutto il trauma associato alla sua infanzia stava creando una distanza tra tutti nella sua vita. Inoltre, voleva condividere la sua storia anche per far capire alla gente cosa significa fuggire per salvarsi la vita» dice il regista. «L’animazione l’ha fatto sentire a suo agio, potevamo usare la sua vera voce nel film e sarebbe comunque rimasto anonimo».

Casa? Un luogo sicuro dove sai di poter stare e non dovertene andare. Un luogo non temporaneo

I dettagli della vita di Amin prima del liceo sono venuti fuori nel corso di sessioni multiple, collegando i punti dopo l’uccisione del padre e il doloroso esodo dall’Afghanistan, passando per il purgatorio pre-adolescenziale da invisibile a Mosca, con poliziotti corrotti e maleodoranti di vodka e lui e la sua famiglia in un limbo deprimente di attesa: nascosti in un appartamento a vedere telenovelas messicane, il loro destino era nelle mani del fratello maggiore, già in Svezia, che cercava di guadagnare soldi per pagare i trafficanti di uomini. E infine, dopo viaggi in condizioni disumane, l’arrivo in Danimarca, da solo, separato dalla sua famiglia.

Flee
Credits: Final Cut for Real
Immagine del film “Flee”

Cos’è la casa per te?, è una delle prime domande poste da Rasmussen ad Amin. «Casa? Un luogo sicuro dove sai di poter stare e non dovertene andare. Un luogo non temporaneo», risponde lui, con voce dolente e flebile di chi la propria casa l’ha dovuta lasciare e, dopo umiliazioni e sofferenze, avverte rimorsi e sensi di colpa a costruirne un’altra.

Riflessioni sull’omosessualità tra hit scandinave

Quando vediamo Amin bambino girare allegro per Kabul, nel 1984, indossa un vestito di sua sorella, ha alle orecchie cuffiette rosa e ascolta Take on me degli A-ha. La colonna sonora spazia tra hit scandinave come Joyride dei Roxette, da appassionante effetto nostalgia, a struggenti brani di violini e viola. «Ho sempre avuto la tendenza a essere un po’ diverso», sorride Amin.

Flee
Credits: Final Cut for Real
Immagine del film “Flee”

La sua prima cotta è stata per Jean-Claude Van Damme, che dal poster della camera gli fa l’occhiolino. Ma Amin sa che un coming out sarebbe stata un’onta per la famiglia. «Ho sempre saputo che mi piacevano gli uomini, ma non ne sapevo il significato. In Afghanistan i gay non esistono. Non c’è neanche la parola».

Jonas Poher Rasmussen usa l’animazione con lucidità e tenerezza. Ai colori dominanti, si alternano i bianchi e neri e le sagome poco definite delle fughe, dell’ammassamento nei container, dell’esilio nei campi profughi…

In Afghanistan i gay non esistono. Non c’è neanche la parola

Flee si muove avanti e indietro nel tempo, mentre Rasmussen intervista Amin che, come in una seduta psicoterapeutica, elabora i suoi pensieri su casa, identità e sessualità. Nell’incedere esitante della voce di Amin, si colgono tutte le incertezze che hanno popolato la sua esistenza e la paura tuttora pulsante di essere catturato e rispedito indietro.
Uno degli aspetti più emozionanti: il senso di responsabilità e riconoscenza verso i suoi famigliari che Amin porta sempre addosso. Anche quando finalmente fa coming out.

Difficilmente Flee otterrà una tripletta agli Oscar. Nella sezione miglior film internazionale compete con È stata la mano di Dio di Sorrentino, ma è il giapponese Drive my car il titolo da tenere d’occhio. Nella categoria miglior film d’animazione deve fare i conti con la Disney. Che sia Oscar al miglior documentario? Qualunque cosa sia, che sia.

Flee
Credits: Final Cut for Real
Immagine del film “Flee”