Intervista a Francesco Carrozzini: stile, sostanza e sguardo d’autore
Courtesy of Alessandra Benedetti - Corbis/Corbis via Getty Images)

Intervista a Francesco Carrozzini: stile, sostanza e sguardo d’autore

di Andrea Giordano

Cinque domande a Francesco Carrozzini: fotografia, vita, cinema e la sua opera prima “The Hanging Sun – Sole di mezzanotte”, in sala dal 12 al 14 settembre

La sua poteva essere un’eredità difficile da sostenere, ed invece, fin da quando aveva 19 anni, ha saputo costruirsi la propria di identità, diventando uno dei talenti della fotografia contemporanea. Francesco Carrozzini, 40 anni compiuti proprio il 9 settembre, ha molto da raccontare attraverso le immagini. Non è un caso che per lui parlino in primis i grandi scatti fatti a personaggi come Lady Gaga, Beyoncè, Eddie Redmayne, Keith Reichards, Kanye West, Angelina Jolie, Michael Schumacher, Christoph Waltz, Naomi Campbell, John Malkovick, Robert DeNiro e tanti altri. Interpreti unici nei loro campi, ma che da lui si sono fatti rappresentare in una dimensione d’arte e contemporaneità, piena d’istinto ed evocazioni. Scatti che grazie a Carrozzini parlano un linguaggio autoriale e ricco d’esperienze.

Ora questo connubio tra stile e sostanza, sperimentato anche dietro la macchina da presa, come videoclip artist, nella pubblicità, ha ormai sconfinato nel cinema. Prima nel bellissimo ed intenso Franca: Chaos and Creation, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2016 (uscito poi su Netflix), dedicato alla madre Franca Sozzani, scomaprsa sei anni fa, ex Direttrice di Voge Italia. Un viaggio inedito, dove l’ha ritratta, tra successi e sfera intima. E dopo un salto nella realtà virtuale, adesso prova l’ebrezza della prima volta in un lungometraggio, scelto per chiudere ufficialmente la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2022, ovvero The Hanging Sun – Sole a mezzanotte, adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore di culto Jo Nesbø, in sala dal 12 al 14 settembre, e prossimamente su Sky. Un noir esteticamente molto interessante, diviso tra «luci contrastate», ci racconta Carrozzini, e ombre, in linea con le ambientazioni-ambizioni del romanzo, tra i paesaggi della Norvegia nei quali vediamo il protagonista, John, interpretato da Alessandro Borghi, provare a sfuggire al suo destino criminale, in cerca di se stesso, di una possibile redenzione, di una nuova identità.

Com’è andato questo “debutto”?

L’ho fatto per cercare di non far sì che fosse l’ultimo (scherza, ndr). È un lavoro abbastanza inusuale per un regista alla prima opera, ma qui mi è stata data tanta fiducia. Ho cercato di circondarmi di eccellenze, sfide creative, tematiche, ma per me era importante cercare di essere all’altezza soprattutto della situazione. Volevo esprimere il mio gusto, provare a me stesso che sarei riuscito a raccontare una storia, adirigere degli attori. Non era così ovvio.

Perché?

Nella vita ho fatto un po’ di tutto, ma qui valeva provare, capire se ne sarei stato capace, era il mio banco di prova. Giorni fa ho ricevuto una bellissima lettera proprio da Jo nesbo, condivisa con tutto il cast e la produzione. Nella sua carriera ha avuto delle esperienze positive, altre meno, negli adattamenti, ma qui è stato abbastanza colpito, nonostante parzialmente abbia snaturato la storia, l’essenza non è cambiata. Leggerla mi rende molto soddisfatto.

Dalla fotografia, e l’obiettivo, al mettersi dietro la macchina: quando ha maturato di voler fare il passo?

So di aver sempre voluto fare cinema, e di aver fatto di tutto per non affrontare il fatto che lo volessi davvero. La fotografia è stata il mezzo per arrivarci, ma fin da subito mi sono nutrito di autori come Cronenberg, Polanski, Antonioni. Ho avuto modestamente molto successo in tutti gli altri campi, nella fotografia, negli spot, nei video musicali, che erano però un po’ tutti degli esercizi per non cimentarsii davvero nel racconto, il che che mi spaventava. Quando vedi persone intorno a te darti libertà, spazio, fiducia, allora devi coglierne la realtà e non perdere l’occasione. Credevo fosse arrivato il momento giusto, stavo diventando troppo grande, come dire.

Nel 2016 era alla Mostra di Venezia per un documentario dedicato a sua madre, Franca Sozzani. 

Ho scelto di fare questo film per innamorarmi del personaggio, un personaggio ‘rotto’, perché io in quel momento mi stavo rompendo, avevo perso il mio secondo genitore a 32 anni, quindi parte da lì, dalle nostre ferite, dalle nostre sofferenze. Se fossimo totalmente felici e contenti, questo lavoro probabilmente non lo faremmo. Ma è un film che parla anche di mascolinità tossica: io ho perso mio padre prima di girare il film, con lui ho avuto un rapporto conflittuale, violento, non a livello fisico: è quello che ci dicono di essere che però mi ha fatto soffrire e riflettere. In realtà credo che la pellicola abbia a che fare con la scelta, non solo con l’effetto della paternità, sono le domande che sollevano, chi vogliamo essere, chi è la famiglia che ci scegliamo.

Non è un caso che sia tornato nel luogo dove ogni cosa forse è partita..

Il Festival traccia una traiettoria nella mia vita: da piccolo venivo qui a vedere i film, volendo un giorno esserci. Poi ci sono arrivato tramite un cortometraggio, il documentario, fino ad oggi. Quando si spegneranno le luci, ne sono certo, penserò ad una persona sola.