Janis Joplin: racconto di un simbolo, d’arte e trasgressione
Courtesy of © Hulton-Deutsch Collection/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Janis Joplin: racconto di un simbolo, d’arte e trasgressione

di Andrea Giordano

Janis Joplin, una delle più grandi star del rock, il 19 gennaio avrebbe compiuto 80 anni. Tra talento, eccessi e trasgressione, è stata però unica

Janis Joplin, nell’arco della sua breve esistenza straordinaria di grande artista, ha rappresentato tutto. Simbolo assoluto, com’è stato, di un modo di ribellarsi alla cultura generalista e conformista, attraverso il look, la contaminazione nei generi, il rock, insieme al blues e il soul, è diventata una vera bandiera di una generazione. Lei, come pochi altri, è stata icona di trasgressione e di libertà, di esistenze vissute all’estremo, ma fuori dal comune, impregnate di un’energia inimitabile, piena di inquietudine e talenti smisurati. Se però parliamo della Joplin, il discorso si amplia, per come è riuscita a incarnare una forma di ribellione e aggirando ogni schema, facendo leva riguardo alle proprie necessità di inclusione, dell’essere amata davvero, di amare a suo modo. Faceva l’amore ogni sera, diceva, con ventimila persone, il suo pubblico, arrivato ad adorarla fin dai tempi in cui si esibiva nei piccoli club di provincia, e poi nei mega concerti pieni di significati pacificisti, idealistici, di costume, tipo Woodstock o il Festival Pop di Monterey. Esibizioni trionfali, indimenticabili, da recuperare dagli archivi, nei documentari, tipo Janis di Amy Berg, creati con l’intento di omaggiare anche quell’epoca di giovani idealisti di fine anni ’60-inizio anni ’70, in protesta col mondo, contro la guerra in Vietnam, a favore dell’integrazione razziale e dell’inclusione, in cerca di loro stessi e di un’identità da coltivare. Uniti e diversi allo stesso tempo.

Vita di eccessi, la sua, finita purtroppo da sola, in una camera d’albergo, vittima di un overdose fatale di eroina pura. Scomparsa troppo presto, seguendo nel tunnel pieno di demoni, alcol e droghe, altri giganti tipo Jim MorrisonJimi Hendrix, o anni dopo, miti quali Kurt Cobain, Bryan Jones, Amy Winehouse. Tutti entrati, loro malgrado, nel maledetto ‘club dei 27‘, rimasti incastonati in quell’età, eterni e sempre affascinanti, pure nella loro disperazione esistenziale, non solo di grandi performer, in un’inquietudine straziante. Janis Joplin, fosse ancora tra noi, oggi 19 gennaio avrebbe compiuto 80 anni, e probabilmente lo avrebbe fatto nel suo stile, lasciando in disparte memorie e ricordi, tuffandosi semmai davanti a un microfono. Avrebbe fatto ancora spettacolo, incantando grazie ad una voce sublime, roca, country, piena di rabbia, emozione, dolcezza, in grado allora di raggiungere vette inspiegabili.

Nata a Port Arthur, in Texas, la Joplin è cresciuta ispirandosi alle leggende afroamericane di Bessie Smith (la chiamarono la Bessie Smith ‘bianca’) e di Otis Redding, aprendo poi di fatto una strada nuova. Si è messa alle spalle i propri dolori e fragilità, gli anni del bullismo giovanile, dell’essere etichettata ‘maschiaccio’, poco considerata, incanalato invece tutto dal palco, nella musica, provando a esorcizzare vecchie ferite, che fino in fondo non si sono mai però del tutto rimarginate. Era ironica, bizzarra, geniale, sregolata, fuori misura, progressista, eppure riusciva a trovare una sensibilità straordinaria facendo sue canzoni di altri. Come Summertime di Gershwin, o la celeberrima Piece of My Heart, portata in scena Erma Franklin, sorella della grande Aretha, scritta da Jerry Ragovoy e Bert Berns, ma ricantata dalla stessa Joplin in maniera superba, finita poi nell’album Cheap Thrills dei Big Brother and the Holding Company, uno dei gruppi di cui fece parte. Gli altri brani sono storia della musica e di un’artista nnovativa: da Me and Bobby McGee, Cry Baby, Get It While You Can, Mercedes Benz, Trust Me, My Baby. La Joplin non interpretava solamente, sentiva, sapeva di cavalcare il flusso. Era bella, anche se non pensava di esserlo, trasudava sensualità, seppur gli altri non ne vedessero nulla in tal senso. Sapeva azzittire quelle malelingue, i benpensanti, creando una propria originale macchina vincente, senza di fatto rendersi davvero conto di aver davvero cambiato la storia culturale. Quella storia, oggi, a oltre 50 anni dalla sua morte, ce la rende ancora viva e presente.