Penélope Cruz e L’immensità, 5 motivi per vedere il film
Foto di Angelo Turetta

Penélope Cruz e L’immensità, 5 motivi per vedere il film

di Simona Santoni

In un’esplosione anni ’70, l’attrice spagnola a Venezia protagonista dell’appassionante coming out di Emanuele Crialese. «Interpreto ancora una volta una mamma: un onore per me farlo»

L’inquadratura, generosa e fortunata, si sofferma sugli occhi bruni di Penélope Cruz, rivolti altrove, e il mondo può crollare senza far rumore. Eccola L’immensità, terzo film italiano a svelarsi tra i cinque in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Emanuele Crialese, undici anni dopo Terraferma, torna con un film personalissimo: «Un lavoro sulla memoria e sull’autobiografia, ispirato alla mia infanzia, trasfigurata», dice al Lido il regista romano di origini siciliane, affidandoci il suo coming out, la sua storia «migrazione di un’anima», di ricerca di identità e comprensione.

Una sorta di Tomboy italiano, carico di colori accesi, geometrie vintage, hit che vorremmo ballare apparecchiando la tavola insieme a Penélope Cruz. In una Roma anni ’70, una ragazzina (Luana Giuliani) che si sente ragazzo guarda la sua famiglia in sbandamento e la sua mamma che, compressa in un ruolo sociale che la reprime, la guarda a sua volta, capisce, abbraccia, e mantiene viva la sua vitalità soffocata da un matrimonio in crisi abbandonandosi ai varietà televisivi.  

Accolto da applausi al Lido, pur dividendo la critica, L’immensità arriva in un festival in cui l’identità è stata esplorata sotto innumerevoli prospettive e non traccia rotte nuove. Ma sa sedurre con immagini di estetica e profondità appassionanti. Sul filo della bellezza e di un’emozionante Penélope Cruz mamma infelice. Ecco cinque motivi per vedere L’immensità.

Emanuele Crialese e Penélope Cruz a Venezia
Photo by Elisabetta A. Villa/Getty Images
Emanuele Crialese e Penélope Cruz a Venezia

1) Un atto di devozione verso Penélope Cruz

Penélope Cruz parla italiano ne L’immensità con accento ispanico che incanta. «Avevo quasi 18 anni quando mi hanno chiamata per la prima volta a lavorare in Italia e ho imparato l’italiano», racconta a Venezia. «E ho studiato il francese prima dell’inglese. Quella per le lingue è una passione e una fortuna: posso lavorare in quattro lingue diverse».
L’attrice spagnola è ancora una volta una mamma, come era stata anche l’anno scorso sempre in concorso a Venezia, allora per Pedro Almodóvar in Madres paralelas.

«Ho interpretato così tante madri, già quando ero molto giovane. Ed è un grande onore farlo», riflette Cruz. «Con Pedro ho fatto sette film e quattro volte sono stata madre. Credo non sia casuale: ho un forte istinto materno. E poi nelle famiglie c’è un mondo infinito da scoprire».

Crialese sembra osservare Penélope un po’ con gli stessi occhi innamorati di Almodóvar. Eccola piena di luce, nei panni di Clara, sotto il casco del parrucchiere. E poi ribelle e leggera mentre schizza i parenti e si inzuppa d’acqua con lo zifone. «Tu sei troppo bella. Puoi smettere di essere così bella?», la rimprovera con stizza e senso di protezione sua figlia Adriana che vuole farsi chiamare Andrea.
Cruz irradia di luce il suo personaggio insoddisfatto ma grondante di vita, represso ma a suo modo indomabile. Gli occhi di Crialese e di Adriana/Andrea sono i nostri occhi. Innamorati. Devoti. Immensamente Penélope Cruz.

2) La famiglia, nelle sue gabbie e possibilità

Ha ragione Penélope Cruz: l’universo della famiglia è fonte di tante storie da raccontare, innumerevoli drammi e altrettanti prodigi, visioni diverse, intrecci, sedimenti, blocchi. Ed eccola la famigliola de L’immensità, nelle sue gabbie e nelle sue possibilità. In molti momenti di spensieratezza, nei giochi con il cibo a tavola, nelle rimpatriate tra parenti, nelle lunghe tavolate, e pure nelle liti e in sequenze brutali che nessun figlio vorrebbe vedere.

La Clara di Penélope è lo specchio di tante madri, imprigionata in un rapporto stantio e di sopraffazione, eppure sempre pronta a rassicurare i suoi tre cuccioli (Adriana/Andrea è la sorella maggiore). «Clara non è pazza, anche se in lei c’è sufficiente follia per sopravvivere in quella famiglia: la tv è il suo mezzo di evasione», spiega Cruz. «È oppressa e non ne può più, ma finge davanti ai figli per farli sentire al sicuro: ci sono tante donne intrappolate in storie di violenza domestica che davanti ai figli fingono di stare bene. Sono storie terribili. Quando ho letta la sceneggiatura mi ha spezzato il cuore».

Luana Giuliani e Penélope Cruz
Foto di Angelo Turetta
Luana Giuliani e Penélope Cruz ne “L’immensità”

3) Estetica e geometrie anni ‘70

Quando Penélope Cruz, a inizio film, invita i suoi figli a indossare i pigiami, ecco che ci immergiamo nella magnifica esplosione anni ’70: giradischi, Rumore di Raffaella Carrà più esaltante di cento Red Bull, pigiami con cannolet e fantasie di rombi, tovaglia fiorata e carta da parati. Com’eravamo più colorati e vivaci allora!

La ricostruzione vintage è allegria corroborante. Ecco poi la Fiat 500, i grembiuli bianchi e neri a scuola, abiti a righe o dai motivi grafici, giochi d’infanzia semplici come gattonare sotto un tavolo.
L’estetica di cromie vivaci e design retrò è convincente.

4) Cantando con Raffaella e Adriano

Rumore di Raffaella Carrà, l’incontenibile balletto di Adriano Celentano e Raffaella sulle note di Prisencolinensinainciusol in Milleluci, e poi la struggente Love Story con Patty Pravo che canta “Grazie perché so Che questo amore Non potrà finire mai Anche se il mondo Sta crollando intorno a noi”: Crialese ce le fa rivivere con escamotage immersivi che portano Penélope Cruz e Luana Giuliani sul palco, in caschetto biondo platino o movenze da molleggiato. E anche noi lì con loro. In coreografie viscerali che sono al contempo un urlo di ribellione e sussurro di accettazione.

5) L’identità e l’autobiografia di Crialese

A 12 anni, in quell’età tra sacralità e perdizione, Adriana/Andrea tira fili bianchi, sul tetto del palazzo di casa, chiedendo risposte dall’alto. Quelle risposte che cerca anche negli occhi della madre, che scruta in continuazione, attentissima a tutti i suoi stati d’animo. Risposte che potrà trovare solo dentro di sé.

L’immensità è anche un’esplorazione sull’identità. Toccanti le parole di Crialese oggi: «Il mio percorso da ragazzo è stato molto diverso da quello che potrebbe essere quello di un ragazzo adesso. È stato importante trasformare quel dolore: a un certo punto ho dovuto fare una scelta, vivere o morire. L’arte è stata la mia forma di libertà. Peggio di me è stata mia madre, che si nascondeva insieme a me. Era sola, con quello per lei era un problema. Lei soffriva per me; io soffrivo perché lei soffriva per me».

Dolce e disarmante nella sua sincerità Luana Giuliani, che debutta come attrice: «Per me è stato tanto importante rappresentare Emanuele quando era piccolino».
Nel film, dopo l’incendio in cucina, tira poi fili rossi tra le stanze di casa. Oggi quei fili bianchi e rossi hanno trovato le loro risposte.

L’immensità uscirà nelle sale il 15 settembre distribuito da Warner Bros. Picture.