Vita e palcoscenico: Toni Servillo è un immenso Eduardo Scarpetta
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Vita e palcoscenico: Toni Servillo è un immenso Eduardo Scarpetta

di Andrea Giordano

“Qui rido io”, l’ultima pellicola di Mario Martone, ci regala l’attore de “La grande bellezza” ancora in stato di grazia

Eduardo Scarpetta, commediografo napoletano, leggenda attoriale di fine Ottocento-inizio Novecento, precursore (all’avanguardia) altresì di un modo nuovo e moderno, rivive adesso nell’intenso lavoro di Mario Martone, Qui rido io (dal 9 settembre in sala) in lizza per il Leone d’Oro, capace magistralmente di costruirne un ritratto completo e variopinto. Unico, nel vero senso del termine, in grado di sperimentare e realizzare opere straordinarie, come Miseria e Nobilità, introducendo maschere immortali, quali Felice Sciosciammocca, meglio di Pulcinella, si sente dire nel film, lasciando il segno, come capo di una tribù famigliare piena di figli, la maggior parte non riconosciuti, diventati loro stessi straordinarie icone, da Eduardo, Peppino a Titina De Filippo, quanto sul palcoscenico. Suo il successo, talvolta portato all’estremo, che lo portò a “sfidare” pure Gabriele D’Annunzio, adattando una sua tragedia, Il figlio di Iorio, in una commedia, La figlia di Iorio, affrontando un processo (vinto poi) col Vate, dovendosi altresì difendere dalla contestazioni di chi non ne riconosceva la grandezza. Grandezza, unicità, come quella di Toni Servillo, l’attore-complice feticcio di Paolo Sorrentino, visto nei giorni scorsi nel suo personalissimo È stata la mano di Dio, in Ariaferma, diretto da Leonardo Di Costanzo, che fa ancora, e sempre, la differenza, regalando alla Mostra del Cinema di Venezia in atto una prova da premio, ricca di mistero, disciplina, mistero e trasformazione. 

Come ci si trasforma in un personaggio così enorme come Scarpetta

Pensandolo come un animale, che traccia il proprio territorio. Era in grado di coinvolgere qualunque cosa, dalle donne, al teatro, le tournée, gli spettacoli, in uno scambio di vita e palcoscenico, dove mischiare i salotti, quanto il dietro le quinte, inaugurando un modo di recitare moderno.

Ne viene fuori..

Si parla di successi e insuccessi, nascite e debutti, entusiasmi e depressioni, invidie ed ammirazione, è il flusso della vita, di un attore chiamato a caricarsi il peso, il dover rappresentare una tradizione, anche attraverso il corpo. La sua vitalità è stata indiscussa, fonte di ispirazione.

Lei invece come vive il lavoro, la carriera?

Vedendolo attraverso un esercizio quotidiano, pieno di rinunce e sacrifici, ma anche di passioni, dove non voglio cedere alla mediocrità, ma anzi, desidero tenere fede ad un certo tipo di etica, di racconto, dandogli continuità e forza.

A Venezia, con tre film, tra cui quello con Sorrentino, nella sua pellicola più intima e persona.

Mi ha sempre considerato una sorta di fratello maggiore, ora ho avuto come dire una promozione sul campo, interpretando suo padre. Collaborando da vent’anni ci capiamo, abbiamo iniziato grazie a L’uomo in più, riusciamo a capirci subito, ma qui, parlando dei genitori, era già capitato diverse volte che mi dicesse, qualora avesse trovato la giusta distanza per affrontare quella perdita, che io sarei stato nel progetto in questo ruolo. 

Emozione, paura, resposanbilità, cosa passa nella testa?

Un onore immenso, c’ha dato spunti, dicendo a me, e a Teresa Saponangelo (che interpreta la madre, ndr) di apparire innamorati. L’amore era infatti il bagaglio legato a un momento della sua felicità e spensieratezza, e che conservava da tempo.

Che tipo di regista è dopo tanti anni?

Sempre lucido e dalle idee chiare. Mi auguro che questo film possa essere solo un nuovo inizio per altri 20 anni insieme.