

Katkoot: il vino di lusso 2.0. Intervista ai fratelli Bassan
Katkoot è il nuovo volto dei vini di lusso. Giovane, fresco, moderno e italiano: esattamente come i suoi due fondatori, Giovanni e Francesco Bassan. Tra collaborazioni internazionali, arte, design e rapporto diretto con la community (fatta anche di tante celebs), scommettiamo che dei vini così non li hai mai visti prima.
Prepara i calici e dimentica tutto ciò che sai – o credi di sapere – sui vini di lusso: Katkoot sta riscrivendo le regole del gioco. E fidati di noi quando ti diciamo che nel 2025 ne sentiremo parlare tanto, soprattutto per due collaborazioni internazionali in vista. Parola dei due giovani fondatori Giovanni Leonardo e Francesco Vittorio Bassan con cui abbiamo fatto un’interessante chiacchierata. Ma prima di raccontare le novità facciamo un passo indietro. Cos’è Katkoot? Per farla breve, del vino che si trasforma in un pezzo d’arte grazie a un base unica che contraddistingue la bottiglia, ma c’è molto, molto altro.

Il nome Katkoot ha radici profonde e personali. Dall’arabo pulcino, come Michèle Lamy (sì proprio quella Michèle Lamy, artista, designer nonché coniuge di Rick Owens) chiamava teneramente Giovanni Bassan, ma è anche un termine usato per descrivere qualcosa di unico e prezioso. Già da questo primo aneddoto si può intuire quanto il marchio sia indissolubilmente legato all’identità e alla storia dei due fondatori. E adesso questa piccola e preziosa realtà italiana può anche forgiarsi del titolo di essere uno dei brand vini preferiti dalle celebs, dai fashion brand, e dalle istituzioni legate al mondo dell’arte. Cos’hanno infatti in comune nomi come: Cartier, Saint Laurent, Comme des Garçons, Audemars Piguet, Rick Owens, Giorgio Armani, e personalità come Offset, Pusha T, A$AP Rocky, Skepta, Virgil Abloh, Michele Lamy e Bella Hadid? E sì, la risposta è proprio Katkoot.
Katkoot è sì un brand di vini, ma un brand di vini che non si era mai visto prima, come vedremo presto. Lanciato tra il 2018 e il 2019, il progetto fonde la creatività di Giovanni, artista internazionale, con la competenza tecnica di Francesco, sommelier e profondo conoscitore della filiera vitivinicola. Katkoot è un’esperienza che va oltre il semplice sorso, dove il vino diventa poi un pezzo d’arte e di collezionismo. Katkoot è la storia di due fratelli, uno che è “scappato” dall’Italia in giro per il mondo per inseguire la sua vena artistica e l’altro che ha scelto di rimanere più legato al territorio per valorizzarlo; te la raccontiamo, o meglio, ce la raccontano gli stessi protagonisti in questa intervista.

Com’è nata l’idea di creare un brand di vini che non fosse un semplice brandi di vini?
Giovanni: «L’idea di Katkoot è stata mia. Vivevo a Parigi già da dieci anni, lavorando come artista tra pittura e ceramica, e nel tempo ero entrato in un network internazionale di collezionisti, curatori e professionisti dell’arte. Mi sono chiesto: perché non creare un prodotto legato al mio territorio, il Veneto, ma presentato in un contesto internazionale? Qualcosa di nuovo, pensato per chi cerca l’eccellenza, il bello e l’inedito.
Nella mia famiglia il vino è sempre stato parte del nostro DNA: mio padre lavorava nella distribuzione, e uno dei miei fratelli ha avviato un brand di birra artigianale. Questo background mi ha ispirato, ma volevo affrontare il progetto come faccio con le mie opere: ho pensato alla bottiglia come a una scultura, distruggendo l’idea tradizionale dell’etichetta. Ho disegnato una forma di stampo brutalista, con una base metallica artigianale che si può staccare diventando così un oggetto da collezione, quasi un gioiello primitivo. Abbiamo curato ogni dettaglio, dal tappo sigillato a mano con ceralacca alla numerazione unica per ogni pezzo.
Fin dall’inizio ho voluto posizionare Katkoot in un contesto artistico. Grazie al mio network, abbiamo presentato il brand in istituzioni come la Biennale di Venezia, il Barbican di Londra e il Palais de Tokyo a Parigi. Però avevo bisogno di un supporto tecnico forte, e qui è entrato mio fratello Francesco, che porta l’esperienza di sommelier internazionale e una profonda conoscenza del territorio e del settore».
Due mondi diversi una visone condivisa…
Francesco: «Ci siamo sempre divisi i ruoli. Giovanni si occupa della parte creativa, del design unico della bottiglia, mentre io mi concentro sulla produzione dei vini. Abbiamo due background molto diversi, e questo è il punto di forza del progetto. Io vengo da studi di economia, ma sono cresciuto vicino alle vigne, e questa passione per il vino è nata in me fin da piccolo, grazie a nostro nonno, che era un imbottigliatore. Nostro padre, invece, lavorava nella distribuzione, ma non c’era mai stata una produzione diretta in famiglia. Quando abbiamo avviato Katkoot, volevamo creare qualcosa di completamente diverso, un’identità unica per i nostri vini, capace di raccontare una storia nuova e affascinante, dove il design e il territorio si incontrassero».
Giovanni: «Katkoot è arte ed expertise, è la sintesi perfetta di noi due».
In cosa consiste la vostra wine experience revolution?
Giovanni: «Abbiamo notato una mancanza nel settore dei vini di lusso: mancava una voce autentica, capace di rappresentare un nuovo tipo di lusso. Troppe narrazioni erano rimaste intrappolate nei cliché: immagini scontate di tramonti, camicie azzurre e ragazze sensuali nei vigneti. Quel modello non parlava né a noi né alla nostra community. Così abbiamo deciso di creare qualcosa di diverso, un vino di lusso che fosse un riflesso delle persone che lo vivono, legato a mondi che conosciamo e amiamo: arte, musica, moda.
All’inizio abbiamo presentato Katkoot solo in contesti artistici, ed è stato subito chiaro che stavamo toccando le corde giuste. Designer, brand di moda e creativi hanno iniziato a contattarci ancora prima del lancio commerciale. Volevano i nostri vini per i loro team, come regali esclusivi o per eventi privati. Questo interesse ci ha confermato che stavamo parlando a una nuova generazione di consumatori: persone che frequentano fiere d’arte, fashion week, concerti e che sono sempre alla ricerca di qualcosa di innovativo. Io e Francesco, insieme, abbiamo creato un progetto che non è solo un prodotto, ma un’esperienza. La nostra community artistica è affamata di novità, e noi gliela offriamo».
Non temete che arte, design e collaborazioni possano distrarre dalla qualità del vino? Mi spiego meglio: c’è chi potrebbe dire che il successo di Katkoot si basi più sull’immagine che sul contenuto. Come rispondete?
Francesco: «Fin dall’inizio, il progetto si è basato su due pilastri fondamentali: la raffinatezza estetica e la qualità del prodotto. Non avendo una produzione propria, abbiamo scelto un approccio diverso rispetto alle classiche cantine, che ci ha permesso di raggiungere livelli eccellenti e di costruire una gamma di vini unica.
Abbiamo selezionato piccoli produttori d’élite, i migliori nel loro campo, seguendo un modello simile a quello delle maison di moda, che collaborano con i migliori artigiani per creare i propri prodotti. Questa strategia ci ha consentito di lanciare vini che rappresentano il massimo dell’eccellenza: dal Prosecco Superiore di Asolo all’Amarone della Valpolicella, offerto sia in versione classica che riserva, fino a un rosé veneto. Più recentemente, abbiamo introdotto il nostro champagne, approvato ufficialmente dal comitato dello Champagne, un riconoscimento che ha reso la nostra offerta davvero esclusiva.
Questo percorso riflette il legame tra le nostre radici: io, profondamente ancorato al territorio veneto, e Giovanni, che porta la sua visione internazionale da Parigi. I nostri vini non solo raccontano questa connessione, ma stanno anche ricevendo rating di altissimo livello, consolidandosi come un biglietto da visita d’eccellenza per il nostro brand».

Giovanni: «La domanda è interessante, perché tocca il cuore del nostro progetto. Katkoot è il risultato di due visioni complementari: io e Francesco viviamo in due paesi diversi, con carriere e percorsi differenti, ma entrambi abbiamo puntato al massimo, sia a livello artistico che istituzionale, per creare un prodotto che si distingue in ogni settore.
La forza del nostro brand sta proprio in questa dualità: da un lato, c’è la mia visione artistica, dall’altro, l’esperienza tecnica di Francesco. Questa combinazione ci permette di rivolgerci a un pubblico selezionato, composto da collezionisti, ristoratori di alto livello e hotel di lusso. Non bastano solo l’immagine o il design per raggiungere questi standard: servono qualità certificata e riconoscimenti internazionali. È grazie a questa attenzione ai dettagli, dalle collaborazioni con ristoranti stellati alle certificazioni ottenute, che siamo riusciti a posizionarci in una fascia esclusiva, capace di parlare ai veri intenditori del vino e del lusso».
– Anche se ci confessano che, da buoni fratelli che si rispettino, i cosiddetti “scazzi” (non c’è termine più adatto per descrivere i battibecchi in famiglia) tra di loro non mancano. Non sono perfetti, certo, ma giovani e grintosi. E proprio questa grinta, a volte esplosiva, genera micce che altro non sono che motore di crescita -.
Avete appena lanciato una piattaforma e-commerce diretto… Perché è una cosa così innovativa nel vostro settore?
Francesco: «Il nostro progetto è nato con un approccio estremamente curato, come se Katkoot fosse un figlio a cui dedichiamo massima attenzione. Siamo sempre stati molto attenti a dove andava e a chi andava. Volevamo mantenere il posizionamento di lusso del brand, ma allo stesso tempo renderlo accessibile alla nostra community, composta da persone che desiderano davvero i nostri prodotti e spesso non sanno come reperirli.
Abbiamo ricevuto moltissime richieste da clienti privati che cercavano le nostre bottiglie, e così è nata l’idea di creare una piattaforma che garantisse un accesso diretto e selettivo. Collaborando con un team creativo indiano, parte integrante del nostro network, abbiamo sviluppato un e-commerce basato su drop esclusivi, pensati per mantenere l’identità del brand e offrire ai nostri clienti un’esperienza unica.
Questo modello è unico nel suo ambito. Anche perché non tutti sanno che le grandi maison e i grandi nomi del vino e dello champagne, raramente vendono direttamente al pubblico, quasi nessuno di loro ha un e-commerce diretto, essendo legati a complessi accordi con distributori. Noi, invece, abbiamo voluto creare un legame diretto con il nostro pubblico, non solo come produttori di vino, ma come un vero e proprio brand che comunica e si connette con i propri clienti».

Come funziona la piattaforma nel concreto?
Giovanni: «Ci saranno dei drop esclusivi e limitati. Ma non abbiamo intenzione di seguire un calendario stagionale rigido per i nostri lanci. Ogni nuovo prodotto o iniziativa nasce piuttosto da una ricerca interna sul vino o da collaborazioni speciali. Per me, Katkoot è come una tela artistica su cui altre persone possono contribuire, aggiungendo forza creativa all’identità del brand. L’idea dei drop si sviluppa in due direzioni: da un lato ci sono quelli dedicati a nuovi prodotti, dall’altro quelli legati a collaborazioni artistiche speciali. In base a questi progetti, prevediamo di proporre circa quattro drop all’anno, ognuno unico e pensato per sorprendere i nostri clienti».
A proposito di collaborazioni… potete anticiparcene qualcuna?
Giovanni: «Non possiamo ancora entrare troppo nel dettaglio, quello che per adesso possiamo anticipare è che nel 2025 faremo almeno due collaborazioni molto speciali, su due fronti: moda e musica. Per quanto riguarda la prima collaboreremo con un rapper di fama internazionale e sul fronte fashion invece con un importante brand americano.
– Ci abbiamo provato a persuaderli, davvero, ma i fratelli Bassan si sono dimostrati impenetrabilmente risoluti. Non c’è stato modo di tirargli fuori qualche spoiler in più. Quando decidono di mantenere il riserbo, non c’è verso di farli cedere -.
Le collaborazioni per noi nascono sempre da connessioni personali, da un’idea di co-sharing. Partiamo dal nostro prodotto, che ha una forte identità estetica, e pensiamo a come interagire con la comunità artistica per costruire ponti creativi. Un elemento fondamentale del nostro lavoro è la base delle bottiglie, che rappresenta perfettamente l’identità di Katkoot. Questa base non è solo un oggetto decorativo, ma un elemento riutilizzabile che assume nuova vita: può diventare un posacenere, uno svuotatasche, o persino un porta-gioielli. È interessante vedere come, pur senza un logo, questa base porti un’immediata connessione al brand. Ti capita di riconoscerla a casa di amici, e pensi: Ah, Katkoot!.
Questa filosofia ci permette di lavorare con i nostri partner su colori, materiali e design, trasformando la base in uno strumento di comunicazione e collaborazione artistica. Le collaborazioni, quindi, diventano veri e propri dialoghi creativi che fondono arte e funzionalità, rafforzando l’identità del nostro brand in modi unici e inaspettati».
Non temete, invece, che le varie collaborazioni possano in qualche modo oscurare l’identità del vostro marchio?
Giovanni: «La nostra collezione, composta da cinque vini, si distingue per un’estetica minimalista e pulita, completamente priva di loghi o marchi evidenti, al contrario di ciò che è la consuetudine in questo settore. Questo approccio è una scelta consapevole: se una bottiglia riesce a essere riconoscibile solo attraverso il suo design, i materiali e il suo peso, significa che abbiamo superato l’estetica tradizionale per entrare in una dimensione di sensibilità artistica più elevata. È una celebrazione della forma e della sostanza, dove il prodotto si fa portavoce della sua identità senza bisogno di elementi espliciti.
Le collaborazioni che intraprendiamo seguono lo stesso principio. Siamo molto selettivi e mirati, scegliendo pochi progetti che abbiano davvero senso per amplificare il brand e creare connessioni autentiche. Per noi, ogni collaborazione è un ponte tra diverse forme d’arte, una riflessione della nostra comunità e dei suoi valori. Questo senso di appartenenza e autenticità è il cuore pulsante di Katkoot».
Francesco: «Oggi l’appassionato di vino non si identifica più in un’unica categoria. Come diceva Giovanni, chi ama il vino spesso ha anche una passione per l’arte, la musica, la moda, e così via. Una volta c’era questa tendenza a suddividere gli interessi in compartimenti stagni: c’era l’amante del vino, quello della musica, quello dell’arte. Ma ora queste barriere sono completamente cadute. Questo cambiamento rende le collaborazioni ancora più significative, perché permettono di connettere mondi diversi in modo naturale e autentico.
Per noi, ogni collaborazione nasce da un legame personale e dalla volontà di ampliare il contesto in cui Katkoot può esprimersi. È un modo per trasmettere la nostra identità a persone che condividono la stessa visione trasversale, creando un dialogo che si muove tra molteplici forme di espressione. Questo è l’obiettivo del nostro progetto: non limitarsi a un singolo ambito, ma esplorare e abbracciare una pluralità di mondi e sensibilità».

Sempre a proposito di collaborazioni e network, com’è che siete arrivati a certi nomi (es: Asap Rocky, Saint Laurent, Cartier, Offset, Bella Hadid ecc;)?
Giovanni: «All’inizio le nostre collaborazioni nascevano principalmente da un network personale, legato al mondo artistico e della moda. Era un circuito fatto di legami diretti, di persone che conoscevamo. La cosa interessante, però, è che nel tempo Katkoot ha iniziato a vivere di vita propria. Oggi ci capita sempre più spesso che siano celebrity, musicisti o artisti, anche quelli che non conosciamo personalmente, a contattarci per proporci collaborazioni.
È come se il progetto avesse preso una sua voce autonoma, diffondendosi in maniera organica, quasi come un passaparola. Quando qualcuno scopre un prodotto nuovo e autentico, lo racconta agli altri. E penso che, quando c’è un potenziale qualitativo davvero forte, il lavoro si spinge da solo. Non devi forzarlo, perché è la comunità stessa a farlo crescere, riconoscendone l’autenticità e portandolo avanti naturalmente».
Con chi, invece, vi piacerebbe collaborare in futuro?
Francesco: «Personalmente, non ho un sogno specifico legato a un brand in particolare, ma mi piacerebbe vedere Katkoot evolversi. Non vorrei limitarmi a fare collaborazioni con fashion brand; il mio obiettivo è ampliare i nostri orizzonti. Penso che il prossimo passo sia creare eccellenze insieme a brand molto diversi, come quelli nel design, ad esempio. Stiamo già lavorando su qualcosa in questa direzione, c’è un altro progetto in cantiere. In definitiva, quello che sogno è che Katkoot possa comunicare un’identità ben precisa a tutti, ed è quello che stiamo cercando di fare con ogni passo che compiamo».
Giovanni: «Mi piace molto l’idea di collaborare con artisti e creativi che vivono in diverse parti del mondo. Penso che i miei sogni siano più legati a trovare collaborazioni che mi stimolino culturalmente. L’aspetto interessante per me è la volontà di scoprire nuove visioni, nuovi standard di bellezza e di lusso, per avere una voce contemporanea. Questo ci permette di essere aperti mentalmente e di portare una visione diversa rispetto alle tradizioni consolidate delle grandi maison».
Quali sono le più grandi difficoltà che avete affrontato in questi anni?
Francesco: «Le difficoltà che abbiamo affrontato sono state molteplici, soprattutto dal punto di vista produttivo. Volevamo fare qualcosa di diverso, con una visione chiara su cosa volevamo ottenere. Abbiamo cercato di realizzare vini con criteri precisi, come l’utilizzo di pochissimo zucchero e l’assenza di solfiti. All’inizio, quando mostravamo il nostro progetto, abbiamo incontrato molte porte chiuse. Tuttavia, questo non ci ha fermato. Penso che il nostro progetto, per quanto unico, abbia avuto sia i suoi pregi che le sue difficoltà. L’unicità ci ha portato a dover spiegare più a fondo il nostro approccio, soprattutto nel settore della ristorazione e della distribuzione, un mondo dove esistono ancora dei cliché e vecchi schemi.
La nostra proposta è stata percepita come un’aria fresca per il settore, ma ha richiesto tempo per essere compresa. Nonostante le difficoltà, abbiamo sempre mantenuto la nostra identità, rifiutando offerte che non rispecchiavano la nostra visione. Anche nella distribuzione, siamo stati molto chiari su chi volevamo essere, proteggendo ciò che rappresentiamo. Adesso, penso che la nostra coerenza sia molto apprezzata. È stato un percorso fatto passo dopo passo, con il supporto di un team che ci ha arricchito con tante influenze diverse».

Giovanni: «Molte persone non sono pronte ad accogliere il cambiamento. Molta gente non è pronta; soprattutto in un’industria che è così radicata in certi schemi, dove tutto deve seguire il percorso consolidato. Quando proponi qualcosa di diverso, come C, D, e F, invece di A e B, rischi di non essere capito. Spesso ci troviamo a dover lottare per farsi sentire. Questo è un problema che riguarda non solo noi, ma tanti altri giovani che cercano di creare nuove voci in un’industria che sembra restia a cambiare.
Io e Francesco siamo stati quelli che più di tutti abbiamo creduto in questo progetto, anche quando magari anche la famiglia magari era scettica. Noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio! Quando vedi poi che grandi nomi, clienti con cui abbiamo collaborato, nel mondo della moda e del lusso, ci scelgono, è una conferma. Abbiamo lavorato con brand prestigiosi come Cartier e partecipato a eventi con istituzioni internazionali come Soho House, che ci ha invitati a fare delle masterclass. Questo ci ha dato ulteriore legittimazione e conferma che la nostra visione stava prendendo piede».
Quali sono, invece, le vostre paure?
Francesco: «Non penso adesso sia il momento di avere delle paure. Le abbiamo avute all’inizio, quando ci chiedevamo se la nostra idea sarebbe stata compresa o meno. Ora è il momento di mostrare quello che stiamo facendo senza esitazioni o timori».
Giovanni: «Personalmente io lavoro bene in un caos creativo, dove ci sono influenze interne ed esterne che si mescolano. La mia unica paura, forse, è quella di rimanere bloccato. Perché, come nel caso di un progetto artistico, c’è sempre il rischio di sentirsi statico».
Qual è il vostro vino preferito tra quelli Katkoot?
Giovanni: «Il mio vino preferito è uno che mi ha sorpreso molto. Il nostro Rosè. Si inserisce nella categoria dei vini naturali e dei vini arancioni. Come artista, il colore del vino, il pigmento, mi affascina ogni volta che lo apro. La luce lo cambia e mi regala sempre una sorta sorriso interiore. Sì, è sicuramente il mio preferito».
Francesco: «Faccio sempre fatica a sceglierne uno, ma tra i miei preferiti c’è sicuramente lo champagne. È stato il risultato di tanto lavoro e attenzione ai dettagli. E poi c’è l’Amarone, le riserve molto vecchie che abbiamo lanciato di recente. Recuperare quelle barrique quasi dismesse, lavorare con l’enologo e il produttore, e vederlo poi concretizzarsi è stato davvero emozionante».
Non scherzavano mica quando parlavano di un’anima più artistica e di una più pragmatica, come traspare chiaramente anche da queste due risposte. L’arte e l’expertise, l’estro e la concretezza… non opposti, ma due forze complementari che riflettono due personalità nette e ben distinte, che vibrano però all’unisono.

A proposito di momenti emozionanti… Qual è un momento indimenticabile vissuto e legato a Katkoot?
Giovanni: «Uno dei miei momenti preferiti è stato il lancio dello champagne. Abbiamo fatto un evento in un ristorante a Parigi dove abbiamo riunito quasi cento invitati. C’era una forte comunità creativa, amici che suonavano, scattavano foto, ballavano, e tutti assaporavano il nostro champagne. È stato un momento che mi ha fatto pensare: “Questo è il motivo per cui lo facciamo.” È stata una serata esplosiva, piena di energia. Anche se ha un certo punto, come immaginabile, i ricordi si fanno più offuscati. Ma è stato memorabile, quello lo so per certo».
Francesco: «Un altro momento speciale è stato quando siamo stati invitati dal brand 66°North (con cui Katkoot ha collaborato ndr) a Reykjavík, in Islanda. Siamo andati a fare un evento per il backstage di Skepta. Ho pochi ricordi chiari di quella serata – ironizza – , ma è stata un’esperienza fantastica, dove i confini tra lavoro e divertimento si sono fatti sottilissimi».