Il politically correct non sarà mai fatto per la moda
Foto di Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Il politically correct non sarà mai fatto per la moda

di Giulio Solfrizzi

Dal politically correct al body positivism, la moda ha cercato di cambiare. Poi non ce l’ha fatta. Ma non sarà che non è fatta per cambiare?

Si parla e straparla del politically correct in tutti gli ambiti, anche nella moda. Siamo ormai giunti ad un punto in cui la scelta delle definizioni è più importante delle stesse cose da definire, dopo un uso gravemente errato del linguaggio. Il politicamente corretto, però, nel fashion system comprende (pure) i corpi. Quelli che nel tempo si sono assottigliati a tal punto da non superare la taglia 40 sulle passerelle, così come nelle campagne pubblicitarie e negli editoriali

L’evoluzione dei fisici dei modelli nella moda

Il problema non è di certo recente. Se fino al 1997 Gianni Versace difendeva i corpi muscolosi e possenti, sia per uomini sia per donne, poi ha prevalso l’estetica heroin chic, che fa riferimento ai corpi deperiti a causa dell’uso dell’eroina. Durante gli anni Duemila, la situazione è peggiorata portando la Francia ad introdurre nel 2017 una legge che obblighi gli stilisti a non ingaggiare modelle anoressiche, per contrastare la sponsorizzazione di disordini alimentari che non possono assolutamente essere romanticizzati. A differenza di come sono soliti fare gli utenti dei social media, riportando in voga i fisici delle modelle e dei modelli del tempo attraverso brevi video fatti di clip e immagini nostalgiche.

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Sfilata Primavera Estate 2024 di Dolce&Gabbana

L’avvento del body positivism

In seguito a corpi non salutari e scandali legati ad agenzie di settore, ha preso piede il movimento del body positivism, che ha cercato (perché non ce l’ha fatta, almeno del tutto) a combattere contro la rappresentazione univoca e malata del corpo. Col tempo, visto l’interesse per il tema, diventato poi parte del dibattito pubblico, alcuni grandi marchi hanno presentato in passerella le cosiddette taglie curvy. In tal senso si potrebbe parlare degli opposti, non di certo sani, che per un certo periodo si sono visti sfilare, incongruenti con ciò che la gente richiedeva: una rappresentazione veritiera di loro stessi. 

Questa improvvisa attenzione per la diversità nel corpi è stata poi sedata da un sistema che ha pensato alle altre problematiche che lo caratterizzano, distogliendo lo sguardo da una questione poi abbandonata dai più. Oggi sono poche le modelle che non vestono la taglia di campionario (tale per essere universalmente valida e facile da produrre). I modelli, uomini, invece rispettano da sempre, e viene da pensare per sempre, due stereotipi riconducibili alla tonicità o alla magrezza. Basta, non ci sono altre narrazioni ammissibili nel fashion. 

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Sfilata Primavera Estate 2023 di Ludovic de Saint Sernin

Il politically correct nella moda

Ma il politically correct, nella moda, non dovrebbe valere solo per i fisici larghi o stretti; bensì dovrebbe combattere contro quell’immaginario elitario di cui si auto alimenta, di pari passo a canoni di bellezza pressoché improbabili: dai volti angelici ai nasi dalle piccole dimensioni, fino alle labbra carnose e alla pelle uniforme. Insomma, un insieme di eccezioni alla regola che però diventano comuni agli occhi di chi vede continuamente la stessa rappresentazione. 

Ma se il mondo della moda e del lusso hanno creato per decenni un impero basandosi su questi elementi, che hanno reso aspirazionale una realtà irreale, come il fashion system potrebbe mai abbracciare nelle praticità il politically correct nelle sua forma più sana e utile al miglioramento? È utopico pensare che ciò possa accadere, ma è lecito sperare che cambino alcuni elementi che hanno causato gravi danni nel pubblico modaiolo, a partire dalla concezione di “magro” e “grasso”, “bello” e “brutto”. Questi, forse, sono i punti da cui dovrebbe partire la moda per diventare non politicamente corretta, piuttosto moralmente accettabile. Tanto siamo consapevoli che non la borsa o la scarpa del momento sia tale proprio per il fascino dell’impossibilità nell’averla; difatti il problema sorge quando è pure la fisicità a diventare oggetto di pericoloso desiderio.