Elvis non è morto….e sta per tornare
Courtesy of Warner Bros

Elvis non è morto….e sta per tornare

di Andrea Giordano

Baz Luhrmann racconta il Re del Rock nel suo prossimo film, il biopic “Elvis”, e la leggenda rivive

Il sogno e la tragedia americani, sintetizzati in un unico uomo, diventato però simbolo di un modo d’avanguardia nel concepire il rapporto col pubblico e fare spettacolo. Elvis Presley, ‘The Pelvis’, nella sua vita è stato tutto: attore, musicista, performer, riferimento, icona, per altri e intere generazioni, un’artista trascinante e modernissimo, la risposta eccitante a quella che sarebbe stata la rinascita culturale, dagli anni ‘50 ai ‘70. Ed è da qui che parte la riflessione di Baz Luhrmann, nel suo ultimo Elvis (in uscita il 24 giugno negli Stati Uniti, mentre da noi ancora non sappiamo la data), già candidato a essere una delle pellicole 2022. Un genio visionario, quello del regista, già in grado di rielaborare Shakespeare in sfumature punk (Romeo+Giulietta), illuminando la Belle Èpoque degli scrittori bohémien, a tinte pop e in maniera trasversale (Moulin Rouge!), dai freaks alle nuance di Bollywood. Lo stesso che nel 2013 ha ridisegnato il mito de Il Grande Gatsby, con (ancora) Leonardo DiCaprio, realizzando un progetto monstre, pieno di contaminazioni e collaborazioni fashion. Esperienze, in cui ritrovare intuizioni e provocazioni fusion, ma soprattutto da vivere. 

Eterna leggenda

Così si annuncia sulla carta anche il nuovo progetto, di cui qualche giorno fa sono state diffuse le prime immagini, prodotto, scritto, sceneggiato e diretto da Luhrmann. Una parabola che parte dalle origini, bambino, a Tupelo in Mississippi, la cittadina dove Presley nacque, e leggeva i fumetti di Capital Marvel, nella quale assimilò però l’energia del gospel, lo spirito evocativo della comunità black, frequentandone la chiesa e sonorità. Il passo per arrivare all’evoluzione di Menphis, in Tennessee, e poi nella dimora-icona di Graceland. Elvis impara e ascolta i consigli del reverendo, “quando hai cose troppo pericolose da dire….canta”, e ne fa tesoro. In quel momento il destino gli bussa alla porta (o forse è il contrario?): il ragazzo smilzo, dal ciuffo a banana, diventa in un attimo il supereroe del rock, coinvolgendo orde di fan ai movimenti di bacino e gambe, ad una celebrità mai vista, ma il cui nome fu legato in maniera importante anche al suo manager, il Colonnello Tom Parker, che lo seguì per 20 anni fino alla scomparsa, avvenuta nel 1977, a 42 anni. Il film ne racconta la nascita in particolare del rapporto, attraversando l’amore per la futura moglie Priscilla, gli incontri con Jimmie Rodgers, B.B. King, interpretati qui rispettivamente da Kodi Smit-McPhee e Kelvin Harris Jr., l’America divisa, orfana dopo gli assassini di Martin Luther King e John Kennedy, la società in trasformazione. Un mondo, un’esposizione mediatica (tossica) che poi lo travolse, ormai gonfio, solo, imbottito di farmaci e chiuso in se stesso, ridicolizzandosi in apparizioni al limite, tanto da porsi la fadica domanda “ho quasi 40 anni, forse nessuno mi ricorderà”.

Focus dunque riguardo all’artista, ma anche a cosa c’è stato davvero dietro, e intorno a lui. Brillano le canzoni, a partire dalla cover di Unchained Melody o Love Me Tender, brilla il look country e rockabilly, dalle tute bianche ricamate, coloratissime, alle giacche di pelle, il chiodo portato a pelle, gli abiti rosa e le camicie sbottonate. E su tutto emerge il volto, il corpo, la voce di Austin Butler, giovane attore americano, classe 1991, visto recentemente in C’era una volta a Hollywood di Tarantino (impersonava uno della setta di Manson, Tex Watson), noto ai più per serie come Zoey 111 o The Carrie Diaries. Fragile e dinamico, affascinante e misterioso, in un ruolo già di svolta per il quale si è preparato mesi, emulando mimica, timbro, cantando lui stesso (come successe per Taron Edgerton in Rocketman nei panni di Elton John) i brani. Così dall’altra parte c’è una leggenda vivente come Tom Hanks, pronto invece a dar vita al cinico (e criticato) manager, che però ne valorizzò l’immagine, intuendo nella televisione lo strumento perfetto per far giungere la sua onda in ogni casa americana.

Elvis segnò la storia, è vero, ma alla fine si è conquistato qualcosa di più, l’eternità.