In conversazione con Maurizio Lombardi, l’uomo dai mille volti
Foto: Barbara Ledda

In conversazione con Maurizio Lombardi, l’uomo dai mille volti

di Andrea Giordano

Dal successo di The New Pope fino all’ultimo Pinocchio, passando per il teatro, Maurizio Lombardi si racconta. Una vita, la sua, spesa all’insegna della sperimentazione e di una recitazione all’avanguardia.

Negli ultimi mesi è tornato a essere assoluto protagonista, reduce, in primis, dal successo della seconda stagione di The New Pope di Paolo Sorrentino, dove è tornato a rivestire i panni del Cardinale Assente, e il Pinocchio di Matteo Garrone, nel quale, invece, si è immerso nel mare come ‘tonno parlante’. Ma la storia di Maurizio Lombardi è molto altro, perché tocca corde e atmosfere diverse, da vero cantore com’è.

Un attore a tutto tondo, visto già in lavori di prestigio, dalla trilogia ideata e interpretata da Stefano Accorsi, 1992,1993 e 1994, a Il Nome della rosa, I mediciUna maschera elegante, poliedrica, che rimanda sì al Buster Keaton di un tempo, ma che invece lo rilancia nel contemporaneo, nella performance, lui che nel teatro ha mosso i primi passi e da lì ha iniziato a fare sentire la propria voce. Quando lo “incontriamo”, tramite Skype, rinchiuso nel suo nido fiorentino, vicino Piazza Santo Spirito, «accanto al Ponte Santa Trinita, il più bello di Firenze», ci dice, decide allora di raccontarsi. Una riflessione su cosa adesso si aspetta, nel lavoro e da se stesso.

In isolamento come molti, su cosa sta lavorando?
Lo considero un esperimento, si chiama “Quattro casi in casa”, l’abbiamo lanciato sulle piattaforme di Instagram in alcuni episodi, stiamo provando a capire se riusciremo a trarne una mini serie web. La storia è semplice: quattro persone, in quarantena che si si sentono online, e cercano di trovare l’idea per passare il tempo insieme, trasformare una consuetudine in qualcosa di divertente.

Che “dopo” la aspetta?
Ma sai, il nostro lavoro, il teatro, ad esempio, si proietta già nel futuro, pazzescamente moderno, al di là di una certa crisi diffusa, mancano i testi, i registi, abbondiamo, invece, di eccellenze recitative. Il teatro è un mondo perfetto, rappresenta la cosa più potente che esista, il live, sentire le persone, lo spettacolo dal vivo, l’uomo, in fondo, è fatto per esibirsi, e l’essere umano è un corpo vivente su un palcoscenico.

Che sensazione le hanno lasciato due collaborazioni come quella insieme a Sorrentino e Garrone?
Lavorare con Paolo e Matteo è stato un privilegio, due punte di diamante, ma in virtù comunque di quello che sta succedendo, vorrei averne di più. Non mi voglio compiacere, né accontentarmi, né fare il bilancio della carriera, guardo a nuovi progetti, per me il “dopo” sarà un punto di partenza, e non di arrivo.

Prima dello stop generale, aveva finito infatti un progetto, di che si tratta?
È un cortometraggio, che ho scritto e diretto, si chiamerà Madonne. Parla del bacio saffico tra due ragazzine adolescenti all’interno di una tranvia, è un episodio realmente successo a Torino, quando ero là per lavoro. Allora vidi queste meraviglie, era paradiso puro, ma di fronte a me avevo madre e figlia, che dinanzi alla scena diventarono due mostri, quasi avessero visto un demonio. Volevo ricreare la stessa situazione, a Firenze, grazie una piccola troupe. Lo stiamo finendo, è prodotto dalla Gold di Omar Rashid, e poi dalla Mirror.

Che sia l’inizio di un nuovo percorso..
Sono figlio di un modo molto autoriale, ho iniziato grazie a Ugo Chiti, recitando i suoi scritti fin da ragazzo, toccando con mano che si potevano fare cose nuove. Non sono passato da Shakespeare, Čechov, ai grandissimi scrittori e poi al cinema, ho vissuto la compagnia, ma, ora, dopo aver passato in rassegna preti, monaci, cardinali, forse ho necessità di fare personaggi diversi, più etici, forti, dolci.

Più avanti la vedremo anche in Tigers.
Sarà diretto da Ronnie Sandahl, lo sceneggiatore di Borg McEnroe. Racconta una storia vera, quella di Martin Bengtsson, un talento, che anni fa lasciò le giovanili dell’Inter, perché iniziò a soffrire di depressione, stress, una situazione capace di influire sul suo rendimento mentale, tanto da portarlo a tentare il suicidio. Ora si è messo a girare nelle scuole per raccontare la sua esperienza. Io interpreto il direttore sportivo che vuole portare a casa il risultato, e come dire gli impongo dei ritmi.

A proposito di sport, c’è un campo da gioco dove sembrava destinato, ovvero nel tennis.
È ancora nel mio cuore se per questo. Parliamo di uno sport meraviglioso, dov’ero riuscito a classificarmi fino a C1, ma nonostante ciò, credo che già il seme della recitazione facesse il suo tarlo. A 16 anni palleggiavo in maniera incredibile, ero alto 1.80, però mi preoccupavo dei bei colpi, non di portare a casa il risultato, e alla fine in partita perdevo magari 6-0 6-0. In realtà avevo già una forma mentis da attore, che ha una natura diversa, perché è innamorato della battuta, di quel gesto, di quella scena, e se riesce ottiene qualcosa di importante, a tennis, devi invece vincere.

Riviera, serie internazionale (unico italiano del cast, ndr) l’ha voluta, poi, nella seconda stagione, come un mercante d’arte.
Aspetto di fare alcuni doppiaggi. Quando si viene chiamati in una produzione del genere così importante, c’è la conferma che se hai delle carte da giocare è giusto andare oltre il proprio giardino, ora ho voglia di una grande storia italiana.

Recitare è studio, ricerca, improvvisazione, istinto. Dove si ritrova di più?
In tutto. Tra i miei modelli ci sono Fo, Proietti, Gassman, Gaber, i Monty Python, punte di grandezza, giganti, a cui nessuno oggi riesce ad arrivare, non vedo chi possa rivaleggiare. Ci sono delle eccezioni, Virginia Raffaele o Paola Cortellesi, bravissime a gestire corpo e battuta.

Come sta trascorrendo queste settimane?
In profonda malinconia, manca la famiglia, l’amore, la vicinanza, sono cose fondamentali, ma un po’ ci sono abituato, ho un work out sullo stare solo, in tournée, la solitudine c’è, è intensa, riesco a combatterla strenuamente riscoprendo molti aspetti di me.

Del tipo?
Ho ripreso a suonare, anche se non sono un musicista, mi diletto a recitare le fiabe, stravolgerle, cantare, ballare, c’è la vena di scrivere, tornare su alcuni pezzi. I social, in questo senso, sono un buon banco di prova per tornare a fare quelle cose di quando ero “pischello”, una seconda giovinezza artistica diciamo, non puoi fare grande cinema, o spettacolo, lì, però, alcuni sketch funzionano, lo trovo un intrattenimento più “sporco”, leggero. Sono circondato da stimoli, la letteratura, sto riscoprendo Mario Soldati, una certa musica, Led Zeppelin, ma anche indie, sperimentale, più recente, come i Mazzy Stars, senza dimenticare il cinema che adoro, la New Hollywood, I tre giorni del condor,Il cavaliere elettrico,Papillon, Scorsese, Cassavetes, Schrader.

Nessuna serie tv?
Ma certo, ho recuperato ZeroZeroZero di Sollima, splendida, mi sto guardando Ozark, mi piacciono le condizioni limite. Paolo (Sorrentino, ndr) mi ha detto ”noi non possiamo raccontare lo straordinario, perché sta avvenendo fuori”. Stiamo facendo lavorare l’inconscio, perché non sappiamo quali storie prenderanno piega domani.

Le sue quali saranno?
Amo la commedia, quella di Billy Wilder, A qualcuno piace caldo, o Il paradiso può attendere di Warren Beatty, Frankenstein Junior, è quella la mia cifra, sono pellicole che amo, così Blade Runner di Scott, ancora attuale, insondato per molti aspetti. Mi piacerebbe uno stralunato, che arriva da un altro mondo, e entra nella vita di alcune persone, le cambia, in maniera assurda, romantica, dolce. D’altronde siamo toscani, tutti figli in qualche modo di Francesco Nuti, capace di farci sorridere e commuovere.