Il meglio del Festival di Cannes 2022
Courtesy of Warner Bros

Il meglio del Festival di Cannes 2022

di Andrea Giordano

Il Festival del cinema di Cannes 2022 cala definitivamente il sipario: ripercorriamo alcune delle storie e dei lavori più belli visti sulla Croisette

La bolla del Festival di Cannes 2022 si è lentamente diradata nell’aria, lasciando oltremodo spettacolo e glamour, passione e intrattenimento, e le tante, molte, storie, che hanno alimentato dieci giorni intensi di eventi, incontri e film-gioiello, a partire dalla meritata Palma d’Oro di miglior film andata a Triangle of Sadness del regista svedese Ruben Östlund, una satira irriverente e di riflessione sulla divisione di classi sociali, tra le più apprezzate. Una kermesse che ha dato fin dall’inizio l’idea di rilancio, dopo un 2021 senza le star americane, con i red carpet ridotti al minimo e il pubblico ancora impaurito da una situazione pandemica, ma che ora ha aperto maggiormente le porte. E le orde di fan sono arrivate numerose, così gli addetti al settore, intenti, quasi in una missione collettiva, a ridare vita ed energia al cinema delle grandi occasioni, nella location più suggestiva, tracciando una ripartenza, questo fin dal poster ufficiale, dedicato a The Truman Show e Jim Carrey, pronto a imboccare una porta nuova per sè, e il mondo. 

Un volto, su tutti, ha caratterizzato enormemente questa 75esima edizione, ovvero Tom Cruise. Mattatore assoluto grazie all’anteprima di Top Gun: Maverick (in sala dal 25 maggio), protagonista di una Masterclass riservata a circa 1000 spettatori, celebrato per i suoi 40 anni di carriera con la Palma d’Oro d’Onore e la pattuglia acrobatica delle frecce tricolori francesi. Immagini mai viste, d’altri tempi. Ed è proprio il sequel del leggendario film diretto da Tony Scott nel 1986 ad essere stata una delle prime vere sorprese, in positivo, in termini di evento. Un kolossal da 150 milioni di dollari, giunto trentasei anni dopo, in uno splendore narrativo, ed epico, degno dei classici action.  Un’operazione per nulla nostalgica, rinverdita semmai nel mito, carica di significati, temi, sguardi, riportati nel film all’ennesima potenza tecnologica grazie a scene spettacolari, nel quale testosterone, patriottismo, sacrificio e ideali gettano l’amo per ulteriori riflessioni, dilemmi morali ed esistenziali, paure da sfatare, muri (del suono) da infrangere. Maverick, letteralmente significa l’anticonformista, ritrova l’amore per Penny (interpretata da Jennifer Connelly), ma fa i conti soprattutto con se stesso, guardandosi più maturo, meno spericolato, desideroso di fare ordine definitivamente. Esperienza da grande schermo, in cui l’obiettivo rimane uno solo: immergersi.

Pierfrancesco Favino magistrale. Ancora una volta, grazie al film di Mario Martone, Nostalgia, tratto dal romanzo omonimo di Ermanno Rea, anche questo appena uscito in sala. La Napoli variopinta, vista ora dai mille scorci del rione Sanità, racconta di un uomo, Felice Lasco, tornato lì dopo 40 anni passati in Egitto per rivedere la madre ormai anziana, fuggendo forzatamente da una situazione che fino ad allora lo ha tormentato, e che ora si ripropone nella mente. Memorie, ricordi in cui, da ragazzo, si divideva nelle stradine, in sella alla moto, insieme al miglior amico di un tempo, Oreste (interpretato rispettivamente in epoche diverse da Artem e Tommaso Ragno), diventato adesso il boss di questo micro universo, con il quale lo lega un segreto inconfessato. Un incontro-scontro tra lui e una città materna, in un quartiere labirintico, dove riannoda radici (mai perdute) e una lingua apparentemente dimenticata. Una visione illuminante, intensa, dolorosa, tra il reale e il simbolico, in cui quotidianamente, a partire dal prete-coraggio della parrocchia, si combatte, si lotta per guardare altrove e non girare la testa, ma si ricerca oltremodo anche una forma d’armonia, di equilibrio negato, di pacificazione, di perdono, forse.

Il lato magico, trascinante, e allo stesso tempo oscuro, tormentato dal successo e dalla possibilità di non essere più ricordato. La leggenda di Elvis Presley rivive in Elvis il nuovo biopic visionario di Baz Luhrmann, di cui le prime immagini avevano già fatto capire la portata creativa e di impegno narrativo. Due ore e mezza in cui chi lo interpreta, Austin Butler, non solo si muove, canta (lui stesso i brani), diventa proprio il Re del Rock, ed è davvero una scoperta. Il film tocca quasi tutto, e attraversa l’America: dagli inizi in Mississipi assorbendo musica soul e gospel, passando a Memphis, ai primi contratti, alla celebrità mai vista, a Graceland, a quel rapporto così contraddittorio tra lui e il manager storico, il Colonnello Tom Parker (un inedito e irriconoscibile Tom Hanks). L’animale da palco Elvis, intoccabile, si scoprì ad un tratto in gabbia, ‘manipolato’, ma nonostante tutto decise di andare avanti, fino alla memorabile performance, ormai appesantito, di Unchained Melody cantata al piano. Morì a 42 anni, e, come si legge anche nella pellicola, non ha però smesso di ispirare altri artisti, altre generazioni. Un grande film, nel quale Elvis pare il protagonista di un melodramma scritto da Shakespeare, diretto, com’è, nel suo stile, dal genio di un regista, lo stesso di Romeo+Giulietta, Moulin Rouge! e Il Grande Gatsby, desideroso a riportarlo in vita. La pellicola uscirà in Italia il 22 giugno, con una chicca tutta italiana, i Maneskin inseriti nella colonna sonora.

Musica e miti eterni, da David Bowie a Jerry Lee Lewis, oggi 87enne. Due icone vere, capaci di rivoluzionare il panorama culturale, diventando parallelamente innovatori nell’inventare una nuova forma di intrattenimento. Il Duca Bianco rinasce in un documentario ricco di immagini, filmati, diari privati, interviste, il tutto messo in scena per merito di Brett Morgen, già artefice di un lavoro simile incentrato però sulla figura di Kurt Cobain, Montage of Heck. L’occasione, qui, è Moonage Daydream: una perfetta armonia di suoni, incursioni filmiche, e tanto Bowie, da Heroes a Life on Mars. Lo stesso, dall’altra parte, avviene in un progetto più breve, ma non meno intenso, diretto invece da Ethan Coen, focalizzato su Jerry Lee Lewis e dal titolo inequivocabile, Jerry Lee Lewis: Trouble in Mind, co-prodotto pure da Mick Jagger. Un altro viaggio, dagli anni ’50 in poi, alle performance estreme vissute al pianoforte, incendiando letteralmente migliaia di fan. Il tutto, ascoltando hit immortali, da Great Ball of Fire a Crazy Arms. Imperdibili quando arriveranno anche da noi.

Pensate a un nome che faccia venire in mente la parola cinema, difficile che tra i primi non ci sia Paul Newman, il ‘Nick mano fredda’ per eccellenza, l’attore simbolo di una bellezza e talento infinito. Un successo, condiviso per quasi tutta la vita con la moglie e attrice, la superba Joanne Woodward (oggi 92enne): due star assolute, le ultime. Da qui è partita la ricerca di Ethan Hawke, l’attore e regista che conosce bene Hollywood e per questo ha realizzato una docuserie, un film diviso in sei episodi lo ha definito, raccontandoli in ogni aspetto professionale e non. Co-prodotto da Martin Scorsese, The Last Movie Stars ci conduce un universo incredibile di film, momenti privati, interviste, attraversando il tempo e le voci, pure degli attori e attrici contemporanei, ognuno intento a celebrarli.

Dal romanzo omonimo scritto da Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017, al film diretto da Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2022. Parliamo de Le otto montagne, con protagonisti Luca MarinelliAlessandro Borghi. Una storia di amicizia, di padri e di figli, di radici e memorie, di scelte da fare, il tutto sullo sfondo incredibile delle montagne e i paesaggi della Val D’Aosta. Vette che vengono scalate fisicamente e psicologicamente. Una storia universale sulla ricerca nel conoscere sé stessi e al contempo di essere fedeli agli altri. Il film arriverà in sala nei prossimi mesi, ed è stato tra i più applauditi.

Crimes of The Future era (più o meno) quello che che ci aspettava da un Maestro come David Cronenberg, provocatorio, estremo, visionario, nel guardare paradossalmente anche sul presente, nel rapporto tra uomo e macchine. C’è molto del suo cinema, a partire ovviamente dall’amato concetto di body (horror), tema visto in altri lavori come Videodrome. Indubbiamente la pellicola più particolare e criticabile, ma che ha spezzato il ritmo della manifestazione, regalando uno dei cast più interessanti: Viggo Mortensen, Kristen StewartLéa Seydoux. La frase mantra è di quelle da ricordare: ‘Surgery is the new sex’. 

Courtesy of Anne Joyce / Focus Features
Anthony Hopkins in “Armageddon Time” di James Gray

Il nuovo film di James Gray, Armageddon Time, si rimette in maniera assolutamente personale a riannodare le memorie del regista da bambino, e che torna ancora nella sua New York. Una città, un quartiere, in questo caso il Queens, da scoprire sempre grazie a lui (lo aveva fatto in The Immigrant, Little Odessa, e Two lovers) capace di regalare sempre qualcosa in più. Sul fare cinema ha detto: ‘alla fine devi lavorare sodo e prenderti dei rischi’, questo conta e fa la differenza. Una pellicola autobiografica, adeguatamente sussurrata e urlata nei momenti giusti, dove di sfondo c’è la politica di Ronald Reagan, gli anni ’80, la discriminazione, non solo razziale, l’essere incompresi. James Gray, ragazzino, amava Kandinsky e sognava di fare il pittore, come il protagonista del film (Branks Repeta), che ha il poster del suo eroe appeso in camera, Muhammad Ali. Nella realtà è diventato uno dei registi migliori. Cast grandioso: Anne Hathaway, Jeremy Stronger ed Anthony Hopkins, pronto a l’ennesima nomination all’Oscar.