Quentin Tarantino compie 60 anni: ecco i suoi 5 migliori film
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Quentin Tarantino compie 60 anni: ecco i suoi 5 migliori film

di Andrea Giordano

Quentin Tarantino taglia il traguardo dei 60 anni, e lo fa con un nuovo libro, “Cinema Speculation”, pensando ad un’ultima creatura cinematografica

Il cinema e Quentin Tarantino. Un binomio indissolubile, che il grande regista americano coltiva dai tempi in cui, prima, a 7 anni, insieme ai genitori, e dopo, impiegato in una videoteca, sognava un giorno di poter essere anche lui da antologia. E così è stato. Il suo cognome, come pochissimi registi viventi, o passati, si è tramutato in un verbo, in un concetto di significati, simboli, stili, di citazioni, un universo fatto di omaggi agli spaghetti-western, come quelli a Sergio Leone, di reinterpretazioni della storia, in cui Sharon Tate non muore, o Hitler e i nazisti soccombono, bruciati vivi in una sala (vedi Bastardi senza gloria), di una Hollywood mirabolante e leggendaria. Il suo sguardo, visionario e geniale, ha fatto innamorare le generazioni degli ultimi 30 anni, aprendo di fatto una nuova strada nell’orizzonte e guadagnandosi l’immortalità nella grammatica alta della cinematografia globale. Il 27 marzo compirà 60 anni, e a breve sarà in Italia: prima a Brescia, il 6 aprile, e poi, il giorno dopo, a Milano, per promuovere l’ultima creatura letteraria, Cinema Speculation (edita da La Nave di Teseo), in cui racconta la storia di un bambino, lui, e del suo amore ‘sovversivo’ per Steve McQueen, Scorsese, Clint Eastwood, e nei confronti del grande schermo. In attesa di vedere il decimo, e pare, ultimo suo lavoro, The Movie Critic, ispirato alla vita della critica cinematografica Pauline Kael, ecco i 5 film che ne hanno decreato il mito assoluto.

C’era una volta a Hollywood

Courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia
Leonardo DiCaprio e Brad Pitt, protagonisti di “C’era una volta a Hollywood”

Una lettera appassionata nei confronti di un momento d’oro, non solo del cinema. Lo sfondo è la Los Angeles del 1969, tra movimenti hippie, rivoluzioni sessuali, dove a dettare legge è soprattutto una celebrazione malinconica, nella quale ricrea costumi, auto, star, set, piccole e grandi produzioni, ambizioni di tanti e cadute di molti. Due protagonisti: Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), attore in crisi d’identità, vittima un po’ di se stesso e dell’alcool, a caccia di qualcosa che possa farlo uscire definitivamente dal viale del tramonto. Dall’altra, invece, c’è la sua ombra fidata, la controfigura amica e sempre presente (fino all’ultimo istante), Cliff Booth (interpretato da Brad Pitt), chiamato ad assicurargli letteralmente la vita, ma desideroso di mostrare anche altro di sè. Intorno a loro ruotano mille cose, illusioni e contraddizioni, bene (come l’attrice Sharon Tate, ormai lanciatissima) o male, come la setta di Charles Manson, in agguato, e che (nella realtà) si rese carnefice degli omicidi di Cielo Drive, dove fu uccisa la stessa Tate, incinta allora del marito, il regista Roman Polanski. Ma qui il finale è dei più sorprendenti e scombina tutto. 

The Hateful Eight

Courtesy of Andrew Cooper, SMPSP
© 2015 The Weinstein Company
Samuel L. Jackson in “The Hateful Eight”, l’ottavo film di Quentin Tarantino

L’ottavo film, diviso in sei capitoli, segue, nell’immaginario, il suo personale omaggio al cinema western, e che aveva avuto già uno dei picchi più intensi grazie a Django Unchained, vincendo l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. In questo caso, fin dalle immagini, si intuisce che sarà una delle esperienze da vivere (e sentire) maggiormente intense mai realizzate. Succede anche grazie alla collaborazione prestigiosa, e inseguita da tempo, col suo compositore preferito, Ennio Morricone, che nell’occasione gli scriverà la colonna sonora, conquistando pure lui la statuetta. Ma come nelle migliori tradizioni di Tarantino le donne sono protagoniste, mai secondarie, come in questo caso la latitante Daisy Domergue (interpretata da Jennifer Jason Leigh) che viene prelevata da un cacciatore di taglie, il ‘boia’, per consegnarla a morte. È l’inizio di un’avventura immersa nella neve, direzione Red Rock, nella quale, lungo il percorso, la diligenza impatta con imprevisti, nuovi passeggeri, e un finale sadico e definitivo. L’ennesimo gioiello.

Pulp Fiction

Courtesy of Martyn Goodacre/Getty Images)
Quentin Tarantino accanto al poster di “Pulp Fiction”

Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1994, presieduta da quel Clint Eastwood tanto amato da Tarantino, e Oscar per la miglior sceneggiatura, condivisa con Roger Avary, Pulp Fiction è diventata ormai una pietra miliare nel cinema. Parliamo di un capolavoro assoluto capace di rivoluzionare il linguaggio, l’estetica, l’etica, dei protagonisti, chiamati qui a salire a bordo di una storia multiforme, anticronologica, in cui è lo spettatore a poter, voler, ricostruire il meccanismo di ciò che succede. Tra scene di culto, come il ballo tra John Travolta (Vincent Vega) e Uma Thurman (Mia Wallace), e personaggi ormai celeberrimi, tipo il Mr. Wolf (Harvey Keitel) che risolve problemi e ripulisce lo sporco, il film apre una breccia nuova scardinando il sistema hollywoodiano, un po’ come fece Orson Welles in Quarto Potere nel 1941. Nulla sarà più uguale al passato. Qui assistiamo ad una tappa anarchica verso qualcosa di mai visto, piena di certezze e verità, di violenza e provocazione, che man mano si impreziosisce di contraddizioni, scontri, ribellioni, come tra il pugile Butch Coolidge (Bruce Willis), l’uomo dall’orologio d’oro, e il suo capo, Marcellus Wallace. Alla fine, la cosa più bella, è riavvolgere il nastro, e riguardarlo dall’inizio.

Kill Bill: volume 1 e volume 2

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Quentin Tarantino e Uma Thurman, nel 2004, al Festival di Cannes per la presentazione di “Kill Bill Vol. 2”

Una pellicola monumentale, divisa in due parti e in capitoli. Due volumi, così che l’enciclopedia ‘tarantiniana’ diventasse maggiormente articolata e ricca di contaminazioni. Ancora Uma Thurman, la musa per eccellenza, che qua giganteggia nei panni della ‘sposa’ (e di Black Mamba): una donna forte e misteriosa, fatta fuori il giorno del suo matrimonio, e che dal quel momento è in cerca di vendetta di Bill (interpretato da David Carradine) che l’ha tradita impunemente. C’è tutto e oltre: l’Asia, il cinema d’azione di Hong Kong, i revenge e i chambara movies, i duelli di spada, i rituali, le spade perfette di Hattori Hanzō, i/le samurai implacabili, la Yakuza di Tokyo, le rese dei conti alla Casa delle foglie Blu, e un cast di prim’ordine, affezionati al regista, da Lucy Liu a Michael Madsen.

Le iene

Courtesy of Paul Zimmerman/WireImage)
La reunion per i 25 anni de “Le iene” con Tarantino, insieme al cast, da Steve Buscemi, Tim Roth, ad Harvey Keitel e Michael Madsen

La prima illuminazione, un debutto che a distanza di 31 anni fa ancora scuola e insegna. Le iene (in inglese Reservoir Dogs), racconta di otto rapinatori, otto gangster, di cui sei identificati attraverso un colore, Mr. White, Mr. Orange, Mr. Blonde, Mr. Pink, Mr. Brown, a Mr. Blue, e della loro rapina imperfetta. Lo sfondo è ancora Los Angeles, ma siamo principalmente in un magazzino, in cui tra flashback, preparazioni, ritorni al presente e possibili tradimenti, si ricostruisce una rapina disastrosa in cui non è andata come avrebbero voluto. Pistole in faccia, finale epico, e musica anni ’70 da riascoltare ogni volta fanno il resto, con un cast, da Tim Roth a Steve Buscemi, da Harvey Keitel a Michael Madsen, che si resero protagonisti dell’inizio del mito. Quello di Quentin Tarantino, che da allora ha dato a tutti una lezione.